di Gabriele Bonafede
La tragica rivolta di Palermo detta “del sette e mezzo”, perché durò sette giorni e mezzo a partire dal 16 settembre 1866, è ancora un doloroso “buco nero” nella nostra storia: nella storia della Sicilia e dell’Italia.
Buco nero, perché sono ormai rare le testimonianze e i documenti per un fatto storico relativamente vicino: avvenuto solo tre-quattro generazioni fa. Molti documenti sarebbero stati distrutti, probabilmente anche nei bombardamenti di Palermo della seconda guerra mondiale.
Buco nero, perché c’è stata una sostanziale tendenza a rimuoverla o a trattarla con un certo cinismo. Se non a utilizzarla per fini politici.
Un paio di cose sono però abbastanza chiare. Fu una rivolta causata dalla insana gestione dell’Unità d’Italia da parte dei primi governi unitari. Da questo punto di vista, forse il libro più famoso che ne parla, senza mai citarla, è Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Lampedusa ne fa un accenno in occasione della festa da ballo, episodio fondamentale del romanzo, nel quale si avvera quel “cambiare tutto per non cambiare nulla” già enunciato nella prima parte della narrazione. In occasione della festa da ballo è raccontata la vergognosa adulazione nei confronti del generale Pallavicini che aveva preso a fucilate i garibaldini in Aspromonte nel 1862.
Lo si può interpretare come un modo elegante e letterario, da parte di Lampedusa, nel riferirsi a fatti avvenuti poi nel 1866 a Palermo. Che furono molto più tragici.
A fronte di una rivolta dai motivi, se non giusti, per lo meno evidenti e comprensibili, i militari del Pallavicini di turno – il funesto generale (e conte) Raffaele Alessandro Cadorna, padre di un altro sanguinario incompetente come il Cadorna della prima guerra mondiale – furono semplicemente brutali, soprattutto nei confronti della popolazione civile. Cadorna piegò la rivolta con bombardamenti navali indiscriminati, distruzione, fucilazioni di massa, e schifezze di ogni tipo e genere. Per poi essere ringraziato con un bel posto in Parlamento e successivamente al Senato di Torino.
I motivi della rivolta furono molteplici e tutti per lo meno comprensibili. Non fu solo una rivolta per il pane, ma ebbe contenuti che andavano ben oltre. E che derivavano da una folle gestione dell’annessione della Sicilia al nuovo Regno d’Italia, di fatto una vera espansione del regno piemontese.
Furono imposte, infatti, una serie di misure tra le quali ne bastavano alcune per prevedere un disastro e quindi un’esplosione a rivolta violenta:
1) L’introduzione della leva obbligatoria per i siciliani con anni di spaventoso servizio nell’esercito unitario, togliendo così braccia alle famiglie dedite all’agricoltura (il 90% dei siciliani). All’epoca borbonica i siciliani erano esentati dal lungo e durissimo servizio di leva. L’introduzione della leva obbligatoria fece passare dalla povertà estrema alla fame una grande parte della popolazione siciliana. L’unica reazione possibile, una volta represse le rivolte e accentuato il problema economico, fu infatti l’emigrazione di massa o ulteriori, disperate, rivolte.
2) La dissennata gestione dei dazi e del sistema di tassazione, a scapito del Mezzogiorno e della Sicilia in particolare.
3) La collocazione di dubbi personaggi siciliani nel Parlamento e nel Senato di Torino, anche qui ricordata nel romanzo Il Gattopardo.
4) La spoliazione dei beni della chiesa a vantaggio di avventurieri (come il gattopardesco Sedara), che aggravò ulteriormente la situazione dei più diseredati, precedentemente aiutati in qualche modo per lo meno da una parte del clero di base.
5) La Terza guerra d’Indipendenza (estate 1866) che seminò morte tra i coscritti siciliani, soprattutto nella sciagurata battaglia navale di Lissa. E qui c’è un altro famosissimo romanzo che ne racconta il triste episodio, I Malavoglia di Giovanni Verga.
6) La conseguente e generale delusione sull’Unità d’Italia, durante e dopo l’avventura di Garibaldi in Sicilia, che fu anch’essa gestita in maniera brutale (basti ricordare la repressione di Bronte da parte di un altro arrivista senza coscienza come Bixio, altro Sedara dal famigerato ricordo).
7) L’incredibile cancellazione della festa di Santa Rosalia per il 4 settembre 1866. Che, in una città fortemente devota, rappresentò la classica goccia che fa traboccare il vaso.
8) La spaventosa e incompetente gestione della sanità, con il colera che aveva mietuto vittime soprattutto nelle classi popolari della Palermo di quegli anni.
Otto motivi, ma non i soli, che portarono alla Rivolta del Sette e Mezzo. E che non furono affrontati dal Regno d’Italia se non con una brutale e folle repressione. Che, sebbene concepita in risposta a una rivolta violenta, finì per spargere sangue e distruzioni, aggravando i problemi anziché risolverli, se non nell’immediato mantenimento dell’unità nazionale.
Non a caso, la mafia proliferò e crebbe a dismisura dopo la miope repressione di quella rivolta ed altre. Perché i siciliani non credevano più nello Stato. Percependolo, e non si poteva loro dar torto, quale stato oppressivo, brutale e affamatore e del quale non fidarsi.
Ancora oggi, in alcune zone popolari di Palermo, dare del “carabiniere” è un’offesa. Ad accompagnare le formazioni dell’esercito regio nelle loro repressioni post-unitarie erano, infatti, i carabinieri. Ciò dimostra quanto quella repressione abbia contribuito a distruggere la fiducia in uno Stato moderno.
Cosa c’è da imparare oggi da tutto questo? Dal 16 al 23 settembre a Palermo ci saranno una serie di eventi culturali e di dibattiti sull’argomento.
Devo precisare che, personalmente, non sono d’accordo e non condivido la prospettiva e le proposte politiche dell’associazione Antudo che ne è l’animatrice principale. Ci sarebbe da dilungarsi troppo su questo ed è meglio affrontare l’argomento in separata sede. Mi basta dire, qui, che sono pacifista convinto.
Nondimeno, una riflessione su quella tragedia, inserendola nel contesto storico, è quanto mai doverosa e benvenuta. Ma lo deve essere in una prospettiva di crescita sociale, civile e di pace. Altrimenti sosterrebbe l’ipotesi di ulteriori tragedie. Fomentare tragedie su episodi così lontani nel tempo è fondamentalmente un errore e un’idiozia. Ci bastano e avanzano le tragedie di oggi.
Di nuovo, il dibattito storico è però utile se non doveroso. Ben venga anche con manifestazioni culturali che portino ulteriore ricchezza alla riflessione.
Ecco quindi il programma delle commemorazioni in “una settimana di grande respiro storico, culturale e artistico per ricordare la rivolta del Sette e Mezzo di Palermo proposta dalla redazione Antudo.info”. Come è presentato dalla stessa associazione, con la collaborazione di: Fondazione Ignazio Buttitta, Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino, Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Centro studi Zabut, TMO-Teatro Mediterraneo Occupato, Simenza-cumpagnia siciliana sementi contadine, Consulta per l’indipendenza del popolo siciliano.
PROGRAMMA
Sabato 16 settembre dalle ore 16:00 Residenza universitaria San Saverio all’Albergheria
inaugurazione mostra documentaria sulla rivolta del sette e mezzo a Palermo a cura del Centro studi Zabùt
Domenica 17 settembre ore 17.00 Centro Sociale ExKarcere via san basilio esposizione prodotti tipici “biodiversità siciliane” laboratorio pasta di grani antichi siciliani ore 21 cena sociale a cura di Simenza – cumpagnìa siciliana sementi contadine a seguire cena sociale
Lunedì 18 settembre ore 18:00 Quattro Canti “Siatti e Mienzu” azione teatrale
Martedì 19 settembre ore 17:00 Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino Spettacolo dei pupi per i bambini dei quartieri di Palermo offerto dalla Fondazione Ignazio Buttitta
Prenotazione necessaria al numero 3899981308
Mercoledì 20 settembre Palazzo delle Aquile ore 17:00 Presentazione volume Rino Messina “La repressione postuma. Palermo 1866: una rivolta breve e il suo epilogo giudiziario”
Giovedì 21 settembre ore 22:00 Piazza Bologni Musiche e danze popolari Siciliane con Sara Romano Angelo Daddelli & I Picciotti & guest Aristocrasti duo. Rosa, la Cantatrice del Sud ( tributo a Rosa Balistreri) – Debora Troía é Tobia Vaccaro. Danze Popolari a cura di Palermo Anima Folk PAF Durante il concerto sarà visitabile una mostra documentaria sulla rivolta del 7 e mezzo a Palermo realizzata dal Centro studi Zabùt
INGRESSO LIBERO
Venerdì 22 settembre ore 17:00 Corteo Popolare dal Borgo Vecchio all’Ucciardone
In copertina, una strada di Palermo dopo i combattimenti tra i borbonici e i Mille nel 1860. Sono visibili le barricate e gli edifici distrutti dal bombardamento borbonico. Secondo alcune fonti, le distruzioni imposte dal bombardamento di Cadorna nel 1866, al fine di sedare la Rivolta del Sette e Mezzo, furono più pesanti ed estese. Immagine tratta da Wikipedia. Di sconosciuto – old photo, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32876693
Nel testo, la battagliadi Lissa. Di Carl Frederik Sørensen – Museo di Storia Militare di Vienna, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1807231
La riflessione di Gabriele Bonafede richiederebbe un lungo commento, impossibile per ovvi motivi. Gli chiedo però tre chiarimenti relativi ad altrettanti punti del suo intervento, senza alcuno spirito polemico. Punto 1. Dal 1876 al 1900 gli emigrati siciliani furono 226.449, contro i 709.076 del Piemonte ed i 519.100 della Lombardia. Che la rivolte del 1866, sviluppatasi a Palermo e provincia, sia stata la spia di un malessere profondo è ovviamente indiscutibile: una sua relazione diretta con l’avvio dei processi migratori mi sembra molto incerta. Punto 6. Su Bronte ricordiamo sempre i condannati dal Tribunale straordinario: per una migliore comprensione, non dovremmo ricordare che le condanne – e non discuto qui se comminate nel rispetto delle procedure previste – furono pronunciate per gli omicidi compiuti nei giorni precedenti ? Punto 8. Il colera del 1866 fu portato a Palermo proprio dalle truppe giunte per reprimere la rivolta. La precedente epidemia aveva colpito l’isola nel 1854-1855.
Mi scuso per la lunghezza. Cordialmente
Augusto Marinelli
Grazie per il commento con benvenute precisazioni. Il mio articolo è necessariamente molto sintetico e non può in nessun modo essere considerato come il risultato di una completa ricerca storica. Accetto dunque le critiche su questo piano. L’idea è solo un contributo al dibattito sulla rivolta del 1866. Dibattito che, nuovamente, penso sia utile ampliare in una prospettiva di discussione pacifica e di crescita culturale. Con tutti i limiti e la limitata precisione di un piccolo articolo. Rispondo quindi alle domande. Punto 1. Sul discorso degli emigrati, siamo d’accordo. Vero, l’emigrazione siciliana fu molto più forte nei decenni successivi. Va anche sottolineato, però, che l’emigrazione dalla Sicilia, per quanto inizialmente meno numerosa, iniziò ad essere di una certa consistenza dopo l’Unità d’Italia, laddove, prima, se c’era, era molto limitata. Questa prima emigrazione era rivolta soprattutto alla Tunisia e non all’America. Forse per i limitati mezzi a disposizione dei siciliani per andare altrove? Punto 6, su Bronte, Credo sia illuminante a proposito il libro di Lucy Riall. E che ci siano elementi per dire che, se da un lato la situazione della Sicilia (e di Bronte in particolare) fosse quella che era, è però vero che Bixio usò la mano pesante, com’era d’altronde nell’atteggiamento dell’epoca. Va quindi ricordato che, oggi come allora, la pena di morte è la cosa più sbagliata che possa esserci per avanzare civilmente. Anche quando la si vorrebbe quale pena per omicidi o peggio. Punto 8. Il colera. In realtà, il colera del 1866 era già presente nel Mediterraneo e in Sicilia prima della rivolta, sebbene in maniera limitata. Ovviamente, in una situazione sanitaria aggravata da una rivolta di quelle dimensioni, e dal modo con la quale fu soppressa, i limitati focolai si trasformarono in un’epidemia molto più grave in città. Grazie ancora. Con cordialità, Gabriele Bonafede
Gentile dottor Bonafede, la ringrazio per la sua cortese risposta. Mi permetto comunque di rubarle, se ne ha voglia, ancora due minuti di tempo. Sul “sette e mezzo” io ho un’opinione un po’ eterodossa, che espongo sempre con cautela perché fondata esclusivamente sulla bibliografia e non su ricerche dirette. Noi leggiamo sempre quella rivolta come un evento singolo. Dimentichiamo, a mio avviso, che due anni prima del settembre palermitano c’era stato un altro settembre, sia pure di intensità, durata e violenza molto inferiori a quello: il settembre di Torino, in quel momento ancora capitale del nuovo regno. Vi era insomma una profonda difficoltà a comprendere, affrontare e risolvere il problema centro-periferia, difficoltà che assumeva ovviamente connotati diversi a seconda delle situazioni particolari.
Era un problema solo italiano? Gli anni Sessanta dell’Ottocento cominciano con la spedizione garibaldina ma si chiudono con la Comune di Parigi e comprendono la “guerra fra gli stati”, quella che noi chiamiamo “guerra civile americana”.
Non voglio rubarle altro tempo. Cordiali saluti
Augusto Marinelli