di Franco Maria Romano
Se “cadi” malato che fai? Ovviamente chiami il medico che, fatta la giusta diagnosi, ti cura correttamente e risolve il problema. Ed è giusto che sia così.
Le parole più comunemente usate sono: curare, guarire ma bisognerebbe aggiungere soprattutto prevenire. In effetti si previene uno stato di malattia, si cerca di diagnosticarla il più precocemente possibile, si cura, si guarisce.
Questo modo di pensare, seppure oggettivamente giusto, assume un significato restrittivo e fuorviante in quanto si concentra esclusivamente sulla malattia trascurando l’individuo come persona, dissociandolo dal contesto sociale in cui vive ed opera.
Così, tutte le risorse vengono orientate e spese sullo stato di malattia che in effetti esiste in quanto tale, oggettivata da criteri che consentono di verificarne o meno l’esistenza.
La figura del medico, del “sapere medico”, assume un valore di primo piano, diventando titolare indiscusso ed esclusivo di tale processo. Assistiamo, di fatto, ad un particolare legame tra medico e malattia ed in cui il malato, non attore, presta il suo corpo, venendosi a creare un rapporto tra medico e malato non dialettico se non addirittura impersonale.
Qui la questione diventa più complessa in quanto, se promozione è tutela della salute, questa non può esaurirsi in ambito individuale ma deve muoversi e completarsi in quello sociale, cioè nell’ambito di vita e di lavoro dell’individuo. E, questo compito, deve necessariamente essere assunto da più persone in quanto richiede non solo le competenze tecniche disponibili ma anche una autorevole volontà o, meglio, definizione politica: igiene dell’ambiente, salubrità dell’aria, città vivibili dotate di servizi e spazi verdi, abitazioni dignitose dotate di acqua potabile e servizi igienici adeguati, riqualificazione delle aree urbane periferiche
Ecco la necessità ed il contributo di urbanisti, ingegneri, architetti, professionisti per la salvaguardia dell’ambiente.
Per evitare questa spersonalizzazione dell’individuo malato bisogna pensare una nuova definizione dello stato di malattia dando l’accento non al malessere del soggetto ma al perduto suo benessere. Solo così si può instaurare con il medico un nuovo e migliore rapporto, non più analitico ma dialettico, esclusivo e particolare: malato sì ma quale persona, individuo.
In un tale contesto parole come guarire e curare assumono altri e più significativi significati e prevenire muta totalmente perché non si riferisce alla malattia, che ovviamente va diagnosticata e rimossa, ma alla salute che va tutelata e promossa.
Pur tuttavia bisogna constatare come il concetto di salute come bene comune con particolare attenzione al sociale piuttosto che all’individuale resta pura utopia.
La medicina moderna, ma anche quella passata e la recente, ha rivolto la sua attenzione nel riconoscere e curare la malattia, cioè fare diagnosi e terapia. Come esempio paradigmatico di quanto detto sta il modello della malattia infettiva in cui, identificato l’agente etiologico, la terapia mirata risolve il problema ( esempi: tbc-streptomicina; tifo- cloranfenicolo). Il nesso causa/effetto è chiaro. Individuato l’agente microbico, causa di malattia, lo si rimuove e si ottiene la guarigione.
Ma, in questa società di consumismo sfrenato, basata sul mercato più che sul lavoro, dove la salute diventa merce, un’altra patologia ha soppiantato quella infettiva diventando la maggiore causa di morte ed è una patologia da usura, da lavoro, da contaminazione ambientale, da stress ripetuti, da urbanizzazione, etc. che va sotto il nome di malattia “cronico-degenerativa”.
Lungo è l’elenco: malattie dismetaboliche, cardiocircolatorie, bronco pneumopatie croniche, obesità, malattie neoplastiche, malattie mentali,etc. Tutte correlabili a fattori di tipo ambientali e comportamentali legati ad abitudini personali (alimentazione, fumo di tabacco, alcool, droga, sedentarietà) o da contaminazione ambientale (inquinamento atmosferico, idrico, contaminazione alimentare).
In questi casi la caratteristica è quella di essere il risultato di una molteplicità di agenti nocivi sia a livello somatico che psichico, con un andamento cronico praticamente irreversibile e che non è dotata da terapie eziologiche efficaci se non puramente sintomatiche.
Si può curare una polmonite, operare una appendicite, spegnere un tifo ma non c’è guarigione per l’arteriosclerosi cerebrale, il cancro polmonare, la depressione psichica. Se ne possono mitigare i sintomi, correggere gli effetti, dilazionarne gli esiti ma niente di più. In questi casi il classico concetto di medicina curativa viene messo in profonda crisi, rivelandosi assolutamente insufficiente nel contribuire positivamente al benessere individuale e collettivo.
Franco Maria Romano. Ringrazio calorosamente la redazione di Maredolce per avermi dato questo spazio. Oggi è assolutamente evidente che con un ambiente decoroso e abitudini sanitarie corrette, quasi tutte le persone possono avere vita lunga e sana senza dover contare molto sulla medicina. La prescrizione migliore per una popolazione sana potrebbe riassumersi in questi termini: buon sistema sanitario pubblico, condizioni di lavoro ed istruzione di medio livello, stile di vita controllata e vigile. Se si vuole creare una medicina sostenibile, in futuro bisogna dare la precedenza alla salute pubblica rispetto a quella individuale, scelta perfettamente compatibile con la sempre più forte volontà degli individui di avere una vita più sana.
I determinanti principali delle malattie sono economici e sociali e, quindi, la medicina deve occuparsi anche di politica, per modificare tali fattori.
…In questo convulso periodo pre-elettorale tutti i programmi elettorali dovranno essere oggetto di una analisi scrupolosa rispetto alle proposte relative a sanità e welfare, e si dovranno scrupolosamente analizzare le intenzioni di tutte le forze politiche.
Perché “salute prima di tutto e sanità per tutti” è condicio sine-qua-non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».
http://www.sanita24.ilsole24ore.com/…/sanita-tutti…