Suggerimenti di Mila Spicola a Fabrizio Micari per il programma del centrosinistra in Sicilia: “È importante che il rettore abbia individuato nella formazione e nelle politiche giovanili il perno del suo programma per la candidatura alle regionali. Aggiungo alcune proposte…”
di Mila Spicola
È ormai ufficiale la candidatura a Presidente della Regione Siciliana del rettore dell’Ateneo palermitano Fabrizio Micari. A questo proposito vorrei approfondire in modo più esplicito un tema che di cui mi occupo da tempo e che ho ritrovato nelle Sue recenti dichiarazioni: quello delle competenze da formare e delle politiche giovanili come perno di sviluppo per la nostra regione.
Lo raccolgo e lo riferisco non solo al segmento della formazione terziaria, oggetto specifico dell’attività del rettore palermitano, ma a tutto il percorso dell’istruzione e della formazione, da zero anni alla laurea, di chi nasce e cresce in Sicilia.
Il campo largo su cui vorrei concentrassimo la nostra attenzione in questa campagna elettorale è esattamente questo e non per motivazioni di attività professionale, visto che sia io che Micari facciamo parte del mondo della formazione, ma perché è un tema eminentemente politico. Un tema da programma insomma, un campo largo tematico che è terreno fertile su cui poter innescare politiche di sviluppo, di crescita e di lavoro. Mi permetto di approfondire per meglio inquadrare le questioni, in maniera non esaustiva certamente, ma indicativa.
Formazione e occupazione in Italia e in Sicilia.
I recenti dati Istat certificano una crescita dell’occupazione nl nostro Paese a numeri pre-crisi, è il risultato di politiche tanto scomode quanto attente. Sono dati però che vanno analizzati disaggregandoli per cogliere indicazioni utili per le direzioni da intraprendere. Di contro, gli stessi indicatori, quelli dell’occupazione, in particolare quella giovanile, non sono positivi allo stesso modo nella nostra regione, che segna ancora un preoccupante ritardo.
Ci sono in Italia quasi un milione di lavoratori attivi in più in tre anni e mezzo. All’inizio di questa ripresa, nei primissimi mesi del 2014, gli occupati nel Paese erano quasi ventidue milioni, mentre a luglio di quest’anno sono risaliti a quota ventitré milioni. Sempre troppo pochi, in un Paese di oltre sessanta milioni di residenti. Bisogna comunque andare oltre la superficie dei grandi numeri. Comprendere il tipo di posti che sono stati creati e quelli che sono stati distrutti. Capire quali profili le imprese stiano cercando e quali non interessino, con quale livello di qualifica, per potenziali lavoratori di sesso maschile o femminile. Questo vale per l’Italia e vale per la Sicilia.
L’Istat non registra il profilo e le qualifiche richieste da parte di chi crea nuova occupazione. Però è possibile farsene un’idea vedendo com’è cambiata la popolazione occupata dall’inizio del 2014 fino al marzo del 2017. In questi tre anni l’economia italiana ha prodotto 700 mila nuovi posti, al netto degli impieghi che sono venuti meno. E quello che viene fuori è che il numero di occupati che hanno la laurea o un titolo di studio anche superiore è cresciuto di 580 mila persone, una quantità pari a ben oltre due terzi dei nuovi posti di lavoro creati.
Questa è l’indicazione più chiara che, nei settori in crescita e in quelli emergenti, le imprese cercano sempre più spesso persone con buoni o ottimi livelli di qualifica, perché è uno degli indicatori di successo. E che laddove tale tessuto di impresa non è presente o diffuso, come nei nostri territori (Sicilia), è comunque molto alto, nonostante i dati negativi generali, il numero di nuove imprese o start up create. Ed è molto alta la percentuale di nuovi imprenditori sotto i 35 anni, tutti con titolo di studio: o la laurea o il diploma. Negli ultimi tre anni, infatti, il numero di laureati che lavorano risulta aumentato del 12,8%, tre volte più in fretta dell’aumento generale degli occupati. Il primo segnale da registrare è dunque: settori emergenti o vincenti e titolo di studio specifico in quei settori elevato o comunque mirato.
Analizzata meglio, quella a cui stiamo assistendo, è soprattutto una ripresa per istruiti e specializzati, non per chiunque. Anche al Sud. A sorpresa, perché la percezione è quella del laureato a spasso. In realtà la comparazione tra neo occupati con laurea, diploma o licenza media, ripeto, è tutta a vantaggio dei possessori di titolo superiore.
Mentre i giovani sotto i 35 anni con il solo titolo di scuola media rimangono ad ingrossare la fascia dei NEET (giovani che non lavorano, non studiano, non si qualificano e non cercano un lavoro). Infatti, l’aumento netto dei lavoratori attivi fra chi ha un diploma delle superiori o delle medie è molto più piccolo. Frazionale rispetto a quello dei laureati, sia in volumi assoluti che in percentuale. In Sicilia abbiamo la percentuale maggiore di NEET in Italia, la percentuale più alta di disoccupazione giovanile e la percentuale più alta di dispersione scolastica.
Dunque abbiamo visto bene nel considerare questi ambiti come dei punti nevralgici su cui innestare un programma politico e di politiche per la Sicilia: non perché siamo di parte, ma perché sappiamo che nell’era della conoscenza, questa, avere un titolo di studio superiore con competenze appropriate e certificate, possibilmente in ambiti concordati con le richieste e le possibilità del tessuto produttivo, diventa un passaporto verso il lavoro, che oggi non solo si cerca, ma si crea.
Nel frattempo c’è un altro dato, per me molto significativo: le donne in Italia abbandonano la scuola più di rado e arrivano più spesso fino in fondo, fino alla laurea.
Il verbo abbandonare e l’acronimo NEET però mi spingono ad allargare le considerazioni a tutta la filiera formativa e a concentrarmi anche sul periodo scolastico pre-universitario.
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La Sicilia, la Scuola, la Formazione.
La Sicilia nelle politiche giovanili e nei temi legati ai rendimenti e alla formazione sconta ritardi e divari dovuti a tanti motivi. Motivi storici, sociali, economici ma anche politici. Siamo terra di abbandono scolastico e di disoccupazione giovanile, le due cose viaggiano di pari passo, lo certificano tutte le analisi. Vero è che gli sbocchi lavorativi, storicamente, sono stati pochi, concentrandosi nel pubblico e nei servizi, ma vero è che il tessuto produttivo è stato impoverito anche per assenza di “cultura imprenditoriale” e di ecosistemi positivi alla creazione di lavoro produttivo. Se dunque vogliamo aggredire il problema della disoccupazione giovanile dobbiamo operare un cambio di passo proprio nei temi dell’istruzione, della formazione e della creazione di competenze utili a questi fini.
La politica locale non ha mai investito testa, risorse adeguate, politiche efficaci ed efficienti, sull’educazione e sull’istruzione dei nostri ragazzi e delle nostre ragazzi, delegandola alle politiche nazionali, anche se lo Statuto Regionale in tale ambito concede ampie deleghe. E si vede: il fattore ESCS (il peso del contesto economico-sociale-familiare sui rendimenti, che nella nostra regione è molto alto nel senso dello svantaggio) si somma a un’offerta formativa strutturale diseguale rispetto ad altre regioni avvantaggiate. Non abbiamo quasi servizi educativi prescolari, scontiamo l’assenza del tempo pieno nella scuola elementare, abbiamo percorsi tecnico-professionali (sia quelli degli istituti professionali che quelli della formazione professionale vera e propria che va in capo proprio alle politiche regionali) che hanno bisogno di un ripensamento, di un sostegno e di una rimodulazione e modernizzazione per renderli aderenti a un programma di crescita nell’isola, nei vari ambiti che si vorranno individuare.
Abbiamo un esercito di teste, i nostri docenti, i dirigenti scolastici, il personale della scuola, che non vede l’ora di essere considerato e valorizzato all’interno di un progetto collettivo, purché li si metta nelle condizioni migliori, funzionali e strutturali, per insegnare, per lavorare e anche per formarsi. In una parola essere coinvolto: con una missione chiara, con mezzi e obiettivi. Fino a ieri mi sono confrontata con la preside di un grosso liceo di Palermo che davvero non sa dove bussare quando ha un problema, vista la poco chiara situazione delle province. Noi potremmo farlo. Stringendo un patto tra la Regione e tutti gli “operatori” della conoscenza e della formazione in Sicilia: dall’età prescolare alla formazione terziaria, con il concorso anche delle associazioni di categoria, del terzo settore e dei distretti produttivi locali. L’obiettivo sia quello di potenziare, potenziare, potenziare, conoscenza e competenza insieme, per non lasciare nessuno indietro. Lo ripeto in modo che sia chiaro a tutti: senza titolo di studio, che corrisponda a competenze spendibili non c’è lavoro. In una terra in cui il lavoro va creato: chi non studia, ricorda l’Istat, è fuori dalle opportunità di lavoro.
Ribaltare la prospettiva.
Io vorrei che noi riuscissimo a ribaltare il punto di vista e che la crescita dei ragazzi e delle ragazze non fosse più disegnata in funzione dei pensieri o delle esigenze degli adulti, ma fosse cucita addosso a loro, alle loro esigenze, educative prima e professionali poi, in funzione di un progetto territoriale economico, sociale e culturale preciso. Che mirasse a chiarire e a concordare una mission educativa che vada da zero anni alla laurea per dotarli, con onestà mentale e franchezza, di formazione adeguata all’oggi, non in senso utilitaristico o “piegato al mercato”, ma in senso pragmatico. Perché la scuola e la cultura devono essere utili, purché disinteressate, deve essere utile per toglierli da due destini egualmente nefasti: il non far nulla, per assenza di nuove competenze o per un mercato del lavoro asfittico e mal predisposto, o l’andare altrove per far qualcosa e ci perdiamo competenze indispensabili a far smuovere gli ingranaggi.
Che sia una formazione adeguata a loro, non a un settore disciplinare universitario, o a un, per quanto nobile, antico sapere scolastico. Perché il sapere antico non basta più.
Servono saperi antichi con nuove competenze per l’oggi. Da spendere a Canicattì come a Gangi. A Palermo come a Siracusa. Servono ovunque e servono in Sicilia: nelle campagne con la nuova imprenditorialità agricola, nella new economy con le energie rinnovabili, nei servizi e nel turismo con le nuove tecnologie digitali, e via dicendo.
Per far questo ci vuole scuola, conoscenza, competenza. Ci vuole l’onestà mentale di tutti gli attori messi in gioco. Ci vuole un cambio di mentalità difficilissima che però si metta in moto con accompagnamenti concreti e fattivi, conseguenti alle intenzioni e agli auspici: con valutazioni d’impatto, con politiche efficaci affidate a corpi intermedi sia di categoria che di pubblica amministrazione formati e preparati a farlo. Altrimenti ogni vasto programma “per il bene della Sicilia e dei siciliani” si infrange dopo soli dieci metri.
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Otto impegni per Fabrizio Micari
Dunque arriviamo ai miei contributi al programma di governo della Sicilia, articolato in otto questioni-chiave su scuola, formazione e università. Per essere concreta subito, vorrei un suo impegno e vorrei capire:
Uno. Quanto del bilancio regionale, una volta eletto Micari, vorrà destinare alla Scuola e all’Università, al netto poi dei fondi destinati alla filiera della Formazione Professionale Regionale?
Due. Sarà possibile creare una task force regione-atenei-scuole per piegare i fondi europei a questi obiettivi e non viceversa agire rincorrendo a casaccio le scadenze europee, impiegando i fondi purché si spenda, spesso senza sinergia o strategia?
Tre. Sarà possibile mettere in campo un impegno per aumentare le strutture destinate ai servizi per l’infanzia, per dare una risposta alle specifiche esigenze educative dei bambini e delle bambine siciliani, oltre che quelle delle famiglie e degli operatori per l’infanzia?
Quattro. Sarà possibile, con una presidenza Micari, mettere in campo sforzi coordinati tra Stato, enti locali e comuni per far partire il tempo pieno nelle scuole siciliane, evitando vacue formule di rito tipo quella che “le famiglie non lo chiedono” (al solito le esigenze e i pensieri degli adulti non i bisogni educativi di chi cresce, soprattutto nei luoghi inadeguati) per lavarsene le mani tutti quanti? Tempo pieno inteso non come parcheggio pomeridiano ma come parte dell’orario curriculare, esteso a recuperare gli ultimi e potenziare i primi, per fornire competenze di base di livello e recuperare i divari col resto del Paese? Tutti, non alcuni sì ed altri no. Con progetti personalizzati sì, ma per tutti. Finanziati in modo strutturale e non estemporaneo o discontinuo come si fa da troppo tempo. Anche in sinergia col territorio e il mondo delle associazioni e del terzo settore.
Cinque. Sarà possibile rimettere in piedi un progetto di formazione professionale predisposta in modo strategico, competitivo e innovativo, in funzione di esigenze attuali e future del territorio e al servizio dei formandi, certamente non mortificando i lavoratori del comparto, ma coinvolgendoli in modo attivo, stringendo un patto chiaro di riconversione e riqualificazione dei corsi? Che parli meno il lessico degli avvisi e più quello di profili, competenze, programmi e obiettivi da raggiungere?
Sei. Sarà possibile, in un futuro governo Micari, creare poli di formazione all’imprenditorialità e all’autoimprenditorialità negli atenei con patti amministrazione regionale-scuole superiori-atenei, destinati a tutte e a tutti gli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori o degli anni centrali? In modo che abbiano chiaro prima cosa possono fare e soprattutto cosa vogliono fare e cosa si perdono se non vanno avanti? In modo che Università e scuole superiori e associazioni di categorie si parlino e lavorino insieme a strutturare offerte sempre più aderenti ai bisogni di una nuova economia e di un diverso mercato del lavoro?
Sette. Sarà possibile creare accanto a questi poli, delle realtà comuni scuola-università-regione- associazioni di categoria di accompagnamento e monitoraggio e progettazione dei percorsi di alternanza scuola lavoro per ottimizzarne e potenziarne le finalità? Aprendo strade e modalità nuove se necessario.
Otto. Sarà possibile, finalmente, mettere mano alla legge e ai fondi sul diritto allo studio (ripeto il finalmente). La Sicilia è l’unica Regione in Italia a non averne una e gli studenti e studentesse da anni chiedono, approfondiscono, fanno proposte per poi rimanere con nulla in mano se non promesse.
Mi sono dilungata, sono temi che Micari conosce e condivide, lo so. Ma adesso la sua veste è un’altra. È un candidato e questi temi, questi impegni deve prenderseli pubblicamente se vorrà il sostegno di tante e tanti di noi. Questo campo largo deve raccontarlo alle famiglie siciliane, ai docenti, ai dirigenti, agli studenti, come anche al mondo politico, e con la stessa passione tirar tutti dalla stessa parte. Quella delle ragazze e dei ragazzi siciliani. I dimenticati di sempre.
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