di Giovanni Rosciglione
“C’è una nuova «questione romana», non quella dei rapporti tra Stato e Chiesa, ma quella del rapido declino della capitale d’Italia. Potremmo oggi ripetere le parole con le quali l’ambasciatore francese a Roma Gramont, nel 1860, sintetizzava il suo giudizio: «C’est ici que l’Orient commence» (è qui che comincia l’Oriente). Con l’Unità d’Italia, Roma si era sollevata al rango delle capitali europee. Ora è una città in stato di abbandono. Le strade sono intransitabili a causa delle buche. Nei casi più gravi, vengono tenute chiuse per evitare incidenti, ma così impedendo alla gente di raggiungere le proprie abitazioni. Vi sono lavori pubblici che attendono da quarant’anni d’esser fatti.”
Così Sabino Cassese sul Corriere lancia l’allarme: Roma è diventata una città dell’Oriente, estranea cioè, ai criteri generali della cultura amministrativa delle democrazie occidentali.
E chiede l’autore: ma l’Italia può stare a guardare questo scempio? Roma non è un toponimo geografico, è una Capitale della Storia della Civiltà del mondo. Roma è lo scrigno, il forziere delle testimonianze della civiltà occidentale e del cristianesimo.
L’Italia è tra i sette paesi più progrediti, è fondatrice dell’Europa. Non possiamo permettere che Ambasciatori, Capi di Stato esteri, Capi delle Chiese siano ricevuti da un Sindaco che prima di salutarli deve consultare la piattaforma Rousseau.
Non è responsabile dire “lasciate che i Grillini governino Roma, così la gente vedrà quanto poco valgano”. No! Non possiamo permetterci questa sperimentazione mortale. Roma è la capitale.
Ma il bravissimo Cassese non sa che questo fluido invisibile del populismo mondiale, dell’intransigenza etica della politica che si accompagna all’incapacità, del contagio con l’orientalismo non ha preso solo Roma, ma, da tempo infetta tutte le capitali del nostro Sud.
Napoli, Messina, Palermo, tutta la Sicilia sono ormai contagiate dall’orientalismo populista: la tutt’ora visibile bellezza dei luoghi, dei monumenti e delle tradizioni, fanno da schermo, da anestetico ad un veloce avviarsi verso la romanizzazione di cui parla Cassese.
Pensate che tutta la parte politica e culturale che sino ad oggi ha rappresentato in Sicilia il centrosinistra si è messa, debole e pavida, nelle mani di quel politico che è stato il principale avversario del movimento di modernizzazione del riformismo italiano. Ed ha accettato il diktat di uno dei rappresentanti più longevi dei populisti antipolitici, quale è il Sindaco di Palermo.
In questo momento, quella che poteva essere una proposta politica di modernizzazione, di occidentalizzazione dell’isola, pare fragilissima e votata ad una sconfitta. Che potrebbe dare la Regione in mano al geometra coinvolto nell’affare delle firme false dei grillini d’oriente.
O, più verosimilmente a un centrodestra che, unito negli ultimi minuti, ritorna vincitore con un’accozzaglia che va da Casa Pound ai disertori di un centrosinistra che ha ordinato il “rompete le righe”.
Voi chiederete perché siamo ridotti così.
Oggi, sulle pagine de la Repubblica-Palermo, c’è un articolo che dà dei dati, che, per chi segue l’agonia della nostra politica, tutto sono tranne che sorprendenti.
Sapete quale è l’Università Siciliana più grande della Regione? Palermo? Catania? No. È quella degli studenti che si sono iscritti in Università fuori dall’isola con 51.441 ragazzi, Catania segue con 42.000 e Palermo con 40.000.
E questi sono gli studenti. Ma se prendiamo il numero di ricercatori, professionisti, manager, esperti in turismo, docenti universitari o semplici lavoratori specializzati che sono emigrati nel mondo, i Siciliani che hanno ambizioni, che rispettano le regole del merito e della responsabilità sono centinaia di migliaia.
E questo avviene già da decenni: un’intera generazione di potenziale buona classe dirigente è scappata.
Questo fenomeno di per se letale per una società – e qui siamo al punto – ha regalato a questa classe politica di oggi proprio l’assicurazione a vita dell’impossibilità di un vero ricambio.
Ma non vi ricordate che proprio alle ultime amministrative a chi chiedeva un ricambio vero si obiettava con un sorriso mellifluo “Ma chi vuoi mettere al suo posto? Non c’è nessuno!”.
Impeccabile: è proprio così. Abbiamo saltato un’intera generazione. Un salto troppo lungo, per non rompersi le gambe.
Sicilia terra d’Oriente. Bella, luminosa, ammaliante, ma disperata e segreta, misteriosa.
Questa classe dirigente – politica, ma non solo – sta serena, felice.
Mi sa che in questo caso sul nostro Titanic si ballerà anche quando il Transatlantico toccherà il fondo degli abissi nel mare.
In copertina, Palermo e Monte Pellegrino in una veduta all’alba. Verso Oriente.
Palermo è avanguardia, messe da parti tutte le imbarazzanti riserve, ha scelto con il suo vate Orlando di passare il guado per divenire mediorientale o, meglio ancora, levantina
Parli di un Oriente che non c’è più. Adesso in realtà le città più moderne e ordinate sono lì. È l’occidente che sta cominciando a marcire come un corpo attaccato da un batterio devastante – che ha un nome: crollo dell’etica. E questo succede purtroppo, è vero, a partire dal nostro sud e in particolare da Roma, che ormai del sud fa parte a pieno titolo.