di Angelo Argento
Alla domanda “Che cosa la annoia?” il grande poeta latinoamericano Roberto Bolaño rispose “Il discorso vuoto della sinistra. Il discorso vuoto della destra lo do per scontato.”
In questa frase la sintesi delle scelte operate in questi giorni dagli schieramenti politici in campo per contendersi la vittoria alle regionali in Sicilia.
Si discute di alleanze, candidature presidenti, ticket, divisioni, accordi, continuità, discontinuità, nomi più o meno prestigiosi da candidare.
Non si parla, neanche per bluffare, del perché allearsi o dividersi. Su quali programmi costruire o distruggere un’alleanza. Su come affrontare e con quali strumenti provare a risolvere i tanti problemi che affliggono l’isola.
Del perché si cerca la discontinuità con i precedenti governi, tutti, da quello di Cuffaro a quello di Crocetta, passando per quello di Lombardo, e nessuno che spieghi le ragioni vere dei fallimenti e insuccessi di quelle esperienze da cui prendere le distanze.
Al centro delle valutazione su scelte delle alleanze e delle divisioni non vi è la Sicilia ma solo e tristemente Roma.
Diversamente non si spiegherebbe perché, a “destra” gli indignati autonomisti siciliani di Gaetano Armao, l’unico per la verità che ha presentato un programma per la Sicilia, debba allearsi e fare un ticket con gli ipernazionalisti di Fratelli d’Italia della Meloni o, addirittura, i leghisti in salsa sicula dei seguaci di Salvini.
Così a “sinistra” i bersaniani, il cui leader siciliano, l’on. Angelo Capodicasa, che appena pochi anni fa presiedeva una giunta con l’allora assessore Cuffaro, oggi è in prima fila a porre veti alla costruzione di un “campo largo”, sul modello vincente di Palermo, esteso ad Alleanza Popolare di Angelino Alfano con cui governa a Roma, nell’unico e reale scopo di danneggiare, seppure legittimo, il Partito Democratico a guida renziana.
Per non tacere dell’M5S che al suo interno, come del resto dimostra la recente divisione tra l’ala anti-immigrati e su posizioni non molto lontane da quelle di Salvini, guidata dal duo Di Maio-Di Battista, e quella su posizioni non del tutto dissimili da quelle della Boldrini, che vede nel deputato napoletano Fico il suo leader indiscusso, è per antonomasia un contenitore di tutto e il suo contrario.
La vicenda relativa alla polemica interna al movimento grillino sugli “abusivi di necessità” ne è un’evidente rappresentazione.
Non a caso il tour estivo siciliano ha visto presenti accanto al candidato Cancelleri, solo Di Maio e Di Battista con la parte più numericamente consistente, fortemente debilitata dalla vicenda delle “firme false” palermitane, che fa capo a Fico, che ha disertato tutti gli appuntamenti elettorali del giro siculo del candidato grillino.
L’unica vera e sostanziale differenza tra gli schieramenti in campo: “Destra” ed “M5S”, da un lato, e “Sinistra”, dall’altro, è tristemente sintetizzata da una frase del redivivo leader siculo di Forza Italia, Gianfranco Miccichè: “Abbiamo scelto di provare a vincere prima per litigare poi, piuttosto che litigare prima per perdere dopo”.
La scadenza ravvicinata tra le regionali e le politiche non può non incidere, purtroppo, sulle scelte elettorali poste in essere in Sicilia, facendo del tutto dimenticare e mettendo sullo sfondo i siciliani e i loro antichi e nuovi drammi, da sempre e ancora irrisolti.
Del resto il giorno indicato per eleggere il nuovo governo dell’isola è il 5 novembre, all’indomani della ricorrenza religiosa più sentita dai siciliani, che non è la festa di Ognissanti, ormai confusa anche in Sicilia con la ricorrenza di Halloween, ma il 2 Novembre, giorno in cui, unici al mondo, i bambini siciliani ricevono doni come se fosse Natale.
L’auspicio è che il 5 novembre possa essere per tutti i siciliani un giorno di festa e, chiunque vinca, doni loro una piccola speranza per tentare di superare l’atavico pessimismo che affligge l’isola e su cui si fonda il potere di pochi che di quel sentimento ne hanno fatto ragione di vita e di protervia.
Certo gli avvenimenti di questi giorni non confortano, anzi sembrano dare ancora una volta ragione a Tomasi da Lampedusa e alla frase più famosa del suo capolavoro: “Bisogna che tutto cambi per non cambiare nulla”.