di Angelo Argento
Nell’era della “smart communication” dove tutto è slogan e scoop, che significato hanno oggi parole come: “diritto di proprietà”, “diritto di asilo”, “diritto di cittadinanza”, “diritto alla casa”, “diritto alla salute”, “libertà di espressione”?
Tristemente, forse, più nessuno. O, peggio, tutti i significati possibili. Ogni evento è motivo di scontro, conflitto, diaspora della ragione. Non si vogliono superare le divisioni ma acuirle.
Piuttosto che dimostrare le proprie ragioni si preferisce denigrare quelle degli altri, ci si erge ognuno a giudice insindacabile dell’altrui falsità, bassezza, inconsistenza, incapacità, illiceità al solo fine di sentirsi appartenente alla parte moralmente più giusta e pertanto, in re ipsa, “migliore”.
Usiamo i fatti della quotidiana cronaca nazionale o internazionale come scusa per dividerci, confliggere, scaricare le nostre pulsioni di rabbia e frustrazioni, attaccando chi non ha la nostra stessa visione della vita o meglio di quello specifico caso su cui si dibatte.
Tutto si perde in un continuo e fastidioso tweet e retweet, post e risposta. Passando presto a litigare sul nuovo caso su cui dibattere e avendo già ampiamente dimenticato quello del giorno o, peggio, del secondo prima.
Siamo tutti diventati inconsapevoli “sofisti digitali”. Ci trasformiamo nell’arco di qualche secondo, intervenendo, “autorevolmente”, con dotte elucubrazioni e citazioni, non sempre in un corretto italiano, in qualsiasi campo del diritto, della scienza o dell’economia.
Diventiamo tutti, magicamente, esperti specializzati in qualsiasi materia: dalla tettonica a zolle al diritto commerciale internazionale, dalla medicina antivirale alla politica internazionale.
Lodiamo chi ci loda, denigriamo chi ci denigra.
In fin dei conti delle sorti del rifugiato, del terremotato, del poliziotto, del bosco distrutto, del bambino malato o dell’occupante sfrattato ci interessa per il limitatissimo tempo del litigio sui social.
Se poi si osa dichiarare la propria appartenenza a questa o quelle parte politica allora, peggio, qualsiasi cosa si affermi verrà comunque letta e rilanciata dai “nemici” per demonizzare, non tanto il reale contenuto delle parole espresse, ma il loro “reale” significato. Secondo l’insindacabile giudizio del censore di turno, al solo fine di dimostrare, eccone finalmente l’inconfutabile prova, che tutto il gruppo politico a cui appartiene il “reo”, è responsabile e complice delle “nefandezze” da questi incautamente enunciate sui social.
Che fare allora? Arrendersi alla propria mediocrità e lasciarsi andare al turbinio delle guerre virtuali, con conseguenze vere e reali nella vita quotidiana o rinchiudersi nel silenzio dello spettatore distaccato?
Rimane in ogni caso una domanda: ha ancora ragione di esistere la ragione?
Piuttosto che voler aver ragione ad ogni costo vorrei aver la pretesa di poter soltanto ragionare.
In copertina, la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, Roma.