di Claudia Sassano
Ho sempre pensato che in Sicilia nei mesi di luglio e agosto dovrebbe essere necessario dichiarare lo stato di calamità naturale e vietare a tutti di compiere il minimo sforzo. Elucubrazioni scaturite dopo una giornata passata a Catania. Il sole cocente riverbera dall’asfalto bollente.
Mi faccio coraggio e mi addentro tra la folla urlante del mercato. Mi vengono in mente le parole di mia nonna: “Ma comu ponnu esistiri tanti cristiani tutti diversi!”. Un concetto apparentemente banale ma attento alla maestria della natura che non replica mai due cose uguali.
Dicevo, mi addentro tra la folla. Un caleidoscopio di colori colpisce i miei occhi. Sventolano al vento, come spaventapasseri svuotati, abiti di ogni sorta e colore.
Più avanti ritrovo a tratti la memoria del mercato africano, le sue spezie, la frutta e verdura che trabocca dalle bancarelle e si porge invitante agli avventori. Il pesce che ti guarda pietoso e implorante prima di finire in qualche padella a deliziare il palato.
Il caldo, l’odore pungente intorno mi stordiscono. Qualcuno accenna un sorriso, qualcuno un commento pittoresco che mi suscita un’irrefrenabile risata. Che posto fantastico, penso, e piano mi faccio strada tra ogni genere di mercanzia. Mi rapisce la bancarella dell’usato.
“Tutto a 50 centesimi!”, grida l’imbonitore a squarciagola. Osservo quei pezzi di vita appartenuti chissà a chi, scovati in qualche vecchio baule o in una soffitta con gli abbaini che affacciano sul cielo stellato.
È il caos della kasba e della primordiale forma di commercio che si perpetua. Una donna chiede, tenendo in mano il pezzo di un pigiama da uomo, se c’è una misura più grande; risponde il ragazzo dicendo: “E chi avi un gorilla ppi maritu!”.
È stupenda questa città. Nonostante i suoi mille difetti. Esco dal dedalo di bancarelle e mi avvio verso la via Etnea che mi affascina sempre con i suoi meravigliosi palazzi settecenteschi. Sento le forze abbandonarmi, decido di assaporare una gustosa e rinfrescante granita seduta in Piazza del Duomo, nei pressi della fontana che versa le acque del fiume Amenano.
La cattedrale mi rapisce. Agata giovane fanciulla martire vi riposa, finalmente libera dall’egoismo di un uomo. Semu tutti devoti, tutti! Riprendo la via verso il parcheggio.
Entrare in macchina richiede uno sforzo sovrumano e guanti d’amianto.
Vorrei tornare sui miei passi e sdraiarmi su una panchina di “vill’e varagghi”, oppure calarmi sotto ad un sombrero e risvegliarmi, alla fine dell’estate, in un fresco giorno di preludio d’autunno.
Le foto di questo articolo, in copertina e nel testo, sono di Giulio Azzarello. Tutti i diritti riservati.