Va in scena il lavoro teatrale dei progetti MigrArti 2017. Al Montevergini, nell’ambito di Amunì, ideato dall’associazione Babel Crew lo spettacolo Il rispetto di una puttana, scritto e diretto da Giuseppe Provinzano e liberamente ispirato a La putain respectueuse di Jean-Paul Sartre.
di Laura Nobile
Ventidue migranti italiani e stranieri, laboratori multidisciplinari per un esito scenico su integrazione, razzismo, discriminazione. Mercoledì 26 luglio alle 21 al Montevergini debutta quindi “Il rispetto di una puttana” ispirato a “La Putain respectueuse” di Sartre con repliche il 27 e il 28, grazie a una grande richiesta di presenze. La scena è il prodotto finale di un progetto di integrazione e laboratori teatrali: Amunì, tra i vincitori siciliani del MigrArti 2017.
Al progetto partecipano, a vario titolo, diverse realtà palermitane impegnate nel mondo del volontariato, come Moltivolti, il Centro Astalli, Cooperazione Senza Frontiere, Per esempio, nell’associazionismo giovanile, come The Factory e Palermo Youth Center, e il Teatro Biondo di Palermo.
Giuseppe Provinzano è l’attore palermitano, 35enne, ideatore del progetto “Amunì”, che spiega: «Con “Amunì” abbiamo vinto il bando MigrArti 2017 indetto dal Mibact per finanziare progetti che coinvolgano migranti in attività di formazione laboratoriale con un esito scenico. In Sicilia sono stati tre i progetti premiati: oltre ad Amunì, anche Babilon di SuttaScupa e il progetto di Isola Quassud di Catania».
Il concept drammaturgico che sostiene il progetto fa riferimento alla Carta di Palermo?
«Sì e al diritto alla mobilità di ogni essere umano. Così ci siamo rivolti a “chiunque nella vita si sia sentito almeno una volta un migrante”, prescindendo dal luogo di provenienza o di arrivo, dal motivo del proprio partire, con l’obiettivo di confrontare esperienze e punti di vista, avvicinarli e far esplodere il significante dello stesso termine migrante dalla concezione mainstream che ce lo fa riferire a una certa sfera precisa che ha a che fare con i barconi, le tragedie del mare, permessi di soggiorno, documenti ecc. Si fa riferimento a José Saramago quando in “Viaggio in Portogallo” prova a catalogare le diverse tipologie di viaggiatori per concludere definendo vacue queste valutazioni. Allo stesso modo decliniamo il concetto di migrante. Qual è la differenza tra un francese che si trasferisce a Palermo e un nigeriano? Per me nessuna: è in questa direzione che si muove la nostra drammaturgia».
Chi sono i protagonisti del progetto?
«Avevano chiesto di partecipare in 40, in scena saranno 22, tra attori professionisti e neofiti, provenienti dalla Francia, dal Camerun, dal Mali, dalla Nigeria, dal Senegal, dall’Iraq. Ma anche italiani di seconda generazione arrivati piccolissimi o nati in Italia da genitori provenienti dalla Tunisia o dal Marocco: chi ha lasciato Palermo per vivere la giovinezza a Londra, chi in Spagna, chi ha cercato le proprie origini nell’Est Europa o scappa da una guerra, chi ha sete di conoscenza. Tutti quanti, come dice la Carta di Palermo hanno il diritto di cercare nel mondo il luogo in cui realizzare i propri sogni e trovare la propria casa».
Quale approccio per “Il rispetto di una puttana”?
«Un testo del 1947, ispirato a “La putain respectueuse” scritto dall’autore dopo il suo soggiorno forzato negli USA durante l’occupazione nazista della Francia, un testo che io e Laura Geraci avevamo già affrontato dieci anni per partecipare a un’edizione del Presente futuro del Teatro Libero. Quel testo è rimasto, come altri, nel cassetto e ritornato nel mio percorso credo nel momento giusto. Un testo e un argomento molto contemporaneo che potrebbe essere stato scritto facendo riferimento ai Trump, alle Le Pen, ai Salvini. Del testo esiste una sola traduzione degli anni 60, ahimè, molto letterale che lo traduce addirittura come “La sgualdrina timorata” ma anche lessicalmente è una traduzione con principi più letterari che teatrali. Così ho provato prima a tradurlo di mio e poi procedendo ho trovato nelle maglie del testo delle possibilità sceniche diverse, che mi hanno convinto a liberarmi dagli schemi drammaturgici sartriani e lanciarmi in un libero adattamento che ne mantenga plot e narrazione. Protagonisti sono Lisa e Doudou, due migranti che un fatto di cronaca li mette l’uno contro l’altro, o meglio, li pone talmente vicini da poter essere uno la salvezza dell’altro o uno la causa delle disgrazie dell’altro. L’adattamento trasporta la scena ai giorni nostri e nella nostra società contemporanea, mantenendo la chiave grottesca e ironica, e inserendo un elemento coreutico originale, non presente in Sartre».
Da quale progetto sei reduce e cosa ti aspetta dopo questo Sartre?
«Siamo reduci dalla tournée nazionale di “1,2,3 crisi”, 2° capitolo della “Trilogia della Crisi” dopo il fortunato primo capitolo “To play or to die”, prodotto dal CSS di Udine. Già finalista del Premio Scenario, è stato prodotto dal Biondo in collaborazione con Babel: Fortunatamente nel resto d’Italia l’attenzione verso il teatro ragazzi è tutt’altra e la tournée ci ha permesso anche di sdoganare il lavoro dalla stessa categoria come ospiti di diversi festival ( tra tutti lo Zoom Festival diretto da Giancarlo Cauteruccio) e teatri come l’ER. Ho intenzione di consolidare il progetto “Amunì” e capire quale destino potrà avere, dopo MigrArti. Cosa sarà necessario fare per inseguire il sogno di costituzione di questa compagnia dei migranti. Pertanto Babel si ferma, raccoglie tutto quanto fatto in questi suoi primi 5 anni e riparte in questa sua nuova casa: un nuovo spazio ci è stato concesso all’interno del padiglione 18 dei Cantieri Culturali della Zisa, e qui nascerà lo Spazio Franco con l’intento di essere un nuovo spazio a Palermo per i linguaggi contemporanei».
Quanto è ancora difficile affermarsi nella propria città?
«Palermo ti dà tutto e ti toglie tutto. Ti riempie di energia, di spunti, di passione e ti distrugge un attimo dopo. Una città dove bisogna lottare per restare a galla figurati per affermarsi. Babel ha 5 anni io ne ho 35 e ho solo la fortuna di aver iniziato questo lavoro molto presto (a 18 anni ero già con Ronconi nel “Candelaio” di Giordano Bruno al teatro Bellini, da allievo del Biondo). Palermo è la città dei “meggh’i tutti“, dove l’apparenza è più importante della sostanza. Ma nonostante questo io Palermo l’ho scelta. Perché ho pensato potesse essere la città dove seminare e raccogliere. Ho lasciato l’Europa (Barcellona e la Francia) per andare a Roma e poi Roma per tornare a Palermo. È qui che voglio vivere e dare una casa alla mia famiglia, alle mie creazioni, con tutti i pro e i contro. Io che sono nato e cresciuto nella periferica Brancaccio e che penso di conoscerla tutta. È questa la mia posizione. Da qua ho deciso di fare e se è il caso lottare per cambiare».
«Siamo tutti migranti». Da questa considerazione, legata alle esperienze personali un gruppo di ragazzi provenienti da tutto il mondo, è nato a Palermo il progetto “Amunì”, espressione siciliana che esorta ad andare, a muoversi. In italiano si direbbe «Su, andiamo!», in inglese «Let’s go!», in arabo «Yalla!», in spagnolo «Vamos!».
Ai Cantieri Culturali alla Zisa andrà in scena giovedì e sabato “Orli” di Tino Caspanello, con la regia di Giuseppe Massa per l’associazione “Suttascupa”, (con Daria Castellini e Simona Malato tra gli attori professionisti, la voce di Jerusa Barros e le musiche di Lelio Giannetto), nell’ambito del progetto “Babilonie”. Anche questo è un progetto che ha vinto il concorso MigrArti 2017.
Foto in copertina e nel testo di Nayeli Salas