di Pasquale Hamel
Sottovalutato, liquidato come esempio di letteratura minore, accusato di aver nobilitato con la sua opera il “sentire mafioso”, Luigi Natoli, conosciuto anche con lo pseudonimo di William Galt, è stato uno scrittore che ha conosciuto e continua a conoscere un incredibile successo di pubblico.
A renderlo celebre, a livello popolare, è stato soprattutto il romanzo fiume “I Beati Paoli”, pubblicato a puntate sul Giornale di Sicilia a partire dal maggio 1909 e ripubblicato più volte, sempre con grande successo, fino all’edizione del 2016 nella collana “la Memoria” della casa editrice Sellerio.
Di Natoli e, soprattutto de “I Beati Paoli, ci offre oggi un’appassionata e, nondimeno, puntuale narrazione il volume “L’uomo che inventò i Beati Paoli”, di Gabriello Montemagno, anch’esso edito da Sellerio. Il saggio di Montemagno sfugge al tradizionale taglio agiografico proprio di molte biografie e offre una interessante schema interpretativo con l’intento evidente di dissipare taluni luoghi comuni e, perfino, maligne volgarizzazioni sull’opera dello scrittore palermitano.
Per Montemagno, Luigi Natoli è stato un intellettuale di tenace concetto, dotato di una enciclopedica cultura storica e specializzato, soprattutto, in quella, purtroppo poco conosciuta, che è la storia siciliana. Di cultura democratica, repubblicano e mazziniano, molto critico nei confronti degli ambienti clericali, Natoli non venne mai meno ai suoi principi e trovò proprio nella storia, e nelle storie che raccontava, lo strumento per comunicare la sua fede. Il genere praticato da Natoli è stato, come è noto, soprattutto il romanzo o il racconto storico con lo specifico di un rigoroso rispetto della storia; l’estro creativo dello scrittore è infatti condizionato dalla fedeltà alla narrazione storica la cui lettura, lo si può ben affermare, è scientificamente puntuale.
Natoli, attraverso il racconto ripropone, infatti, la storia della Sicilia. Ma con intento specifico che è quello di alimentare nel lettore un richiamo alla propria identità e alla propria cultura, “orgoglio di popolo compromesso dalle varie vicissitudini storiche”. Questo non significa, come più volte ribadisce Montemagno, l’abbandonarsi al solito sicilianismo di maniera. Natoli resta infatti un convinto assertore della bontà del processo unitario, di un’Italia unita nel contesto della quale la Sicilia doveva trovare la sua specifica e giusta collocazione.
Per Montemagno, l’opera di Natoli è anche un manifesto politico, attraverso il racconto, infatti, l’autore parlava ai suoi numerosi lettori dello “spirito di eguaglianza e di giustizia; dell’idea di libertà.”, la narrazione promuoveva dunque aspirazioni democratiche di cui l’autore si faceva propalatore, questo ne fa, come scrive Montemagno, “un narratore politico”.
Un capitolo particolare di questo saggio è dedicato alle accuse di “collusione” mafiosa dello scrittore, accuse giustificate dalla grande popolarità che i suoi romanzi ebbero fra i cosiddetti uomini d’onore e da presunti compiacimenti nella descrizioni di poteri tenebrosi che si sovrappongono ai poteri legali.
Una lettura attenta dell’opera di Natoli, quella che propone Montemagno, tuttavia smentisce ampiamente quest’assunto e ci restituisce, paradossalmente, uno scrittore che prova perfino disgusto per le illegalità perpetrate da queste organizzazioni segrete.
Il libro di Montemagno si completa con una ricostruzione della trama dei tre romanzi principali e una riflessione sulla esistenza della famosa setta di cui, già nel titolo, “L’uomo che inventò i Beati Paoli” viene messa in forse. Utile, poi, ai fini ricostruttivi, è l’elenco completo delle numerosissime opere di Natoli con le date e le case editrici o i giornali che le hanno editate o pubblicate.