di Gabriele Bonafede
Siminza du Papireto (Semenza del Papireto), si diceva una volta quando si parlava degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, situata sopra il fiume Papireto a Palermo. A quattro anni dalla morte di Franco Scaldati si può dire, adesso, anche Semenza di Scaldati.
Che corre e cresce nel rivisitare il teatro del poeta palermitano in una prospettiva che può andare oltre i confini nazionali. A metterla in scena due volte ai Cantieri Culturali della Zisa è stato infatti Georges Lavaudant, già direttore dell’Odeon di Parigi, grazie all’invito e l’impegno di Matteo Bavera e Melino Imparato.
In un progetto di collaborazione tra il laboratorio dei due uomini di teatro siciliani con il regista francese. In un lavoro, dunque, di stratificazione intergenerazionale ed espansione geografica e culturale per l’eredità artistica di Scaldati.
Gli attori? Una semenza, appunto. Un folto gruppo di giovani talenti che si cimenta attraendo approvazione e successo. Due spettacoli, il 22 e il 29 giugno, che hanno messo in scena Il Pozzo dei Pazzi: una delle pièce più rappresentative nella copiosa produzione di Scaldati. Lo spettacolo inizia a guardare all’Europa, mantenendo comunque l’approccio linguistico originale, quello dell’autore, il palermitano “a lingua propria”, ovvero “scaldatiano”.
Il pozzo quale Palermo. E i pazzi quali erano, e sono tuttavia, i palermitani. In una sconvolgente scheggia di teatro al cui centro, come conferma Lavaudant stesso, c’è l’amore. Perché Scaldati è grande nelle introspezioni sui significati dell’amore in senso praticamente assoluto: per la propria città, tra amore e odio, per la vita in senso totale, persino nella connotazione più folle e assurda.
Salgono le voci e i gesti, le tragedie del margine in vicoli chiusi eppure sempre aperti: all’interpretazione come al dileggio, all’ossimoro come all’associazione.
Lavaudant descrive il vicolo con due semplici “muri aperti”, aperti al centro della scena (di Mela Dell’Erba), palesando le contraddizioni, le emergenze, le follie, le chiusure e le aperture nello stracciato mondo di Palermo cantato da Franco.
Protagonisti delle due serate un gruppo di giovani attori che dimostrano come Scaldati sia attuale e futuribile.
I tre ruoli principali, Binirittu (Luigi Rausa), Aspanu (Fabio Lo Meo) e Totò (Luciano Sergio Maria Falletta) tessono il cuore di un dialogo da strada, a due passi dal manicomio. E qui, non è facile interpretare Scaldati, trovando il giusto equilibrio tra movimenti e testo, dramma e poesia, folklore e profondità. I tre ci riescono perfettamente, trascinando il pubblico fin dalle prime battute. E se c’è molto caldo, forse questo aiuta a corroborare l’atmosfera di scirocco e di follia ben addentro il Palermo antico e contemporaneo.
Il fatto è che Scaldati ricuce in maniera straordinariamente originale il rapporto tra voci di strada e metrica, tra colore e chiaroscuro, spaziando tra gli abissi della povertà e la romantica visione nascosta dietro la luna e il cielo di Palermo.
Perché il Pozzo dei Pazzi è, come altre opere di Scaldati, un inno all’amore per Palermo, oltre che per la vita. Simboli e personaggi, dove la gallina di Totò è un personaggio centrale, si nutrono di una fantasia collettiva sfrenata, accaldata, onirica, sciroccata, irriverente quanto raffinata e crescente. E che diventa ancora più sciolta e palpabile, sospesa e corposa al tempo stesso, nei testi e nei movimenti firmati dall’autore palermitano.
Il trio di pazzi emarginati, Binirttu, Aspanu e Totò, non può d’altronde essere perfettamente vitale se non accompagnato dal contesto. Felicemente accordato in soffio caldo di Palermo da Pinò (Fabiola Arculeo), Masino (Alberto Lanzafame), Matteo (Valeria Sara Lo Bue), Giovannino (Salvatore Pizzillo), l’Uomo delle Mele (Antonella Sampino) e la Voce (Luisa Hoffmann).
Il gruppo, completato da Alessandra Leone, Giuseppe Cusimano, Mariangela Glorioso e Dario Lo Cicero, propone un’interpretazione di Scaldati che permette alla regia di Lavaudant di stabilire un nuovo rapporto tra il teatro più palermitano con quello più europeo, all’occorrenza grazie alla traduzione in francese di Jean Paul Manganaro. Utilizzata da Lavaudant esclusivamente per capire e poi mettere in scena in lingua originale.
“Non è facile trovare attori francesi che possano interpretare Scaldati”, afferma Lavaudant stesso. E probabilmente non è facile trovarli nemmeno in Italia, ma solo a Palermo. E solo con una preparazione per la quale si devono ringraziare innanzitutto Melino Imparato e Matteo Bavera, che lo hanno instillato e fatto assorbire da un gruppo talentuoso e pronto ad imparare ed elaborare con la propria sensibilità artistica. Una semenza che si accresce, dunque, in un rapporto di collaborazione che sembra funzionare molto bene.
Senza nulla togliere ai numerosi e pregevoli passaggi-chiave del Pozzo dei Pazzi visto ai Cantieri Culturali in questo inizio estate 2017, è il finale che forse raggiunge il massimo nel trasmettere l’emozione voluta da Scaldati stesso.
Perché è una summa dell’azione corale, che parte dal piccolo per arrivare al grande: al sogno scandito dall’inno contradditorio e terreno concupito dall’amore più nascosto e sconfitto. E dunque traslato in versi.
Il percorso di rivisitazione su Scaldati continua domenica 2 luglio alle ore 21, sempre ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, Spazio Tre Navate con Titì e Vincenzina di Franco Scaldati. Progetto e regia di Umberto Cantone e Guido Valdini. Con Serena Barone e Aurora Falcone. Luci e fonica di Michele Ambrose. Produzione Compagnia di Franco Scaldati.
Foto in copertina e nel testo di Alessandro D’Amico. Tutti i diritti riservati.