di Gabriele Bonafede
Pietro Grasso rifiuta la candidatura proposta pubblicamente da un “largo” centrosinistra siciliano per correre quale futuro presidente della Regione. La cosa era nell’aria prima d’arrivare in essere. Per motivi ovvi, secondo i “maligni”: Grasso avrebbe dovuto lasciare la seconda carica istituzionale, sia pure ormai valida per pochi o pochissimi mesi, per rischiare grosso (e grasso) in terra di Sicilia.
La notizia del rifiuto ha fatto immediatamente il giro di Sicilia e anche d’Italia. Ma è una “non-notizia” in quanto tale: come detto, largamente prevedibile. E non solo a causa di ipotetiche malignità riportate più sopra.
La vera notizia è un’altra. Anzi, altre due, se non tre. Innanzitutto le modalità del rifiuto. Poi, ma anche qui si tratta di cose vecchie come il cucco, il metodo. Infine il candidato alternativo che si rischiara. E va diventando più bianco, anzi di un Bianco che più Bianco non si può: uso detersivo. Per lo meno stando ai sempiterni “metodi”.
Le modalità del rifiuto appaiono quanto meno stucchevoli. I maggiori media, locali, regionali e nazionali, riportano una rinunzia di Grasso “dopo aver parlato con Orlando”. Orlando chi? Orlando Leoluca, il sindaco di Palermo.
Dunque, se capiamo bene, un presidente del Senato, la massima carica dello Stato dopo il concittadino Presidente della Repubblica, proposto dal suo partito (il Pd) quale candidato per la Presidenza della sua Regione, va a parlare con il sindaco di Palermo (che ci tiene a non confondersi con il Pd), per capire se è il caso di candidarsi. Almeno è questo ciò che se ne deduce.
Stucchevole. E nulla da aggiungere.
Seconda notizia, il metodo. Rimane, sempre e comunque, quello di scegliere candidati e proporre coalizioni senza lo straccio di un progetto. Eppure, se c’è qualcosa di buono che è venuta fuori dal grillismo, è una rinnovata attenzione dell’elettorato per le proposte e la partecipazione. Magari in pochi punti, anziché cinque. Magari punti incoerenti tra loro, come accade troppo spesso dalle parti dei 5 stelle, ma che ci sia “qualcosa” su cui costruire candidature e coalizioni, possibilmente coinvolgendo potenziali elettori, simpatizzanti o per lo meno i militanti, sia pure “ollain”. Insomma, c’è, ed è evidente, una richiesta di politica da parte dell’elettorato. Di una politica di programma, per lo meno.
Nulla di tutto questo. Il che, come insegnano recenti tornate elettorali anche locali e soprattutto fortemente isolane, è un suicidio. Completo.
Terza notizia, il colore. E qui ci vuole ancora una volta il percorso del gambero.
Fermo restando il metodo di individuare prima un personaggio e una coalizione e poi, se è il caso, qualcosa da fare per questa martoriata terra ca nun senti, la candidatura che emerge è quella di Enzo Bianco.
A fine aprile di quest’anno il dibattito era infatti concentrato sulla possibilità di un centrosinistra che presentasse il sindaco di Catania quale candidato a Presidente della Regione.
E se la seconda carica dello Stato rifiuta una candidatura dopo aver parlato con il sindaco di Palermo, la domanda sorge spontanea: il candidato sarà un altro sindaco?
L’ipotesi non è del tutto furiosa. Ma anche sì, visto che c’è di mezzo il Paladino.
Enzo Bianco è incandidabile occorreva che si dimettesse da sindaco entro il 29 aprile e per questo in quei giorni se ne parlò