di Gabriele Bonafede
Si riunisce il direttivo del Pd-Sicilia dopo il primo turno delle elezioni comunali 2017 e in vista delle regionali fissate per i primi di Novembre. Apre il dibattito il giovane segretario regionale Fausto Raciti e si susseguono i rappresentanti di un partito che, in Sicilia, è in affanno.
Lo dicono i numeri e, per dirla con Sciascia, il contesto. Il primo turno delle amministrative 2017 in Sicilia vede infatti il Pd in arretramento fisiologico, se non in rotta. Vince in alcuni centri importanti, come a Cefalù, ma “nascosto” in liste civiche che si giovano di un traino rappresentato da un candidato “forte” che non sempre è un candidato del Pd.
Il “contesto” è quello di una serie di bocciature e qualche successo laddove il Pd è mimetizzato ma anche frantumato in liste civiche di ogni tipo.
Checché ne dicano Raciti & C., anche a Palermo il Pd ha perso. Per la precisione si è sciolto, accettando il cavallo di Troja di un candidato “forte”, come Orlando, ma di fatto raccogliendo solo tre consiglieri comunali tra quelli identificabili quali “Pd” nella lista in comune con gli alfaniani. Tuttavia sembra non ci sia autocritica su questo fatto fondamentale e si parla persino di “modello Palermo”.
Vero, in Sicilia, i 5 stelle sono andati anche peggio perché arrivano a un solo ballottaggio tra i comuni di un certo peso. E prendono batoste ferme in una Sicilia considerata fortemente grillina. Vero, la destra estrema va anche peggio, forse persino dileggiata da candidati poco credibili, al di là delle strane vicende del candidato La Vardera a Palermo.
Ma la lettura della direzione Pd-Sicilia, riunitasi oggi a Palermo, sembra quella del “Tout va bien Madame la Marquise”, mentre l’incendio consuma il castello, a partire dalle stalle. Cioè da quella che una volta veniva definita “base”. Il cosiddetto “modello Palermo” è emblematico: non presentando una propria lista e un proprio candidato, e soprattutto un proprio progetto o programma per la maggiore città siciliana, l’elettorato del Pd è rimasto a casa oppure si è polverizzato in una polvere di liste di tutti i colori.
Stessa cosa in quasi tutti i centri della Sicilia: liste civiche a go-go tranne pochissimi casi. E, in altri casi, sconfitte cocenti come a Lampedusa, dove Giusi Nicolini non è arrivata nemmeno al ballottaggio.
La vicenda di Giusi Nicolini dovrebbe far riflettere. Se si chiede alla maggioranza dei Lampedusani perché non hanno votato per un candidato che pure sembrava “forte”, la risposta è “Perché, la Nicolini si è occupata di Lampedusa e Linosa? Oppure ha solo ritirato premi e fatto passerelle?”.
Adesso dalle parti del Pd-Sicilia si sente parlare, comunque, di candidati e di “coalizioni”. “Al centro”, “larghe”, eccetera, eccetera. E si parla di proporre Pietro Grasso, il presidente del senato, quale candidato di questa grande coalizione democratica. Ma sulla base di quale progetto per la Sicilia, non è dato sapere. Tranne quello di fermare 5 stelle e destre. Obiettivo encomiabile, per carità. Ma sempre senza un progetto, un programma, un recupero della base e dei “piedi incretati”, sempre più incretati, di simpatizzanti e militanti.
Sembra quasi che la Sicilia non abbia più alcun problema. Sembra che in Sicilia stiamo tutti bene.
Ma non è così, purtroppo. I problemi in Sicilia continuano ad essere tanti. E se una boccata d’ossigeno è arrivata grazie a una congiuntura dell’industria turistica assolutamente straordinaria (e per giunta non colta appieno), per il resto i giovani continuano a emigrare, le imprese soffrono, le infrastrutture sono insufficienti e decadono, la mafia continua ad esserci, la povertà aumenta, l’invivibilità pure, e molto, molto altro.
Eppure si propone Grasso. Che, come la Nicolini, non si sa cosa abbia fatto di concreto in Sicilia negli ultimi anni, tranne premi e passerelle…
Bravo