di Laura Nobile
Ha il tavolo ingombro di manuali scientifici, appunti e articoli di ogni genere, ma in quella confusione di carte, in bella vista insieme al fonendoscopio, ci sono anche loro, un paio di occhiali giocattolo di plastica blu e una pistola ad acqua dai colori fluorescenti. E poi biscotti, cioccolato, dolciumi di ogni genere. Lui d’altra parte, quando torna dalla sala operatoria e rientra nella sua stanza, ha sempre tute blu notte, oppure coloratissime che lo fanno somigliare più a un astronauta old style di “Star Trek” che a esperto del dolore, soprattutto oncologico.
«Non sono portafortuna – racconta Sebastiano Mercadante, direttore dell’Unità di Terapia del dolore e cure di supporto della clinica “La Maddalena”, dal 2013 “Adjunct professor of palliative medicine” del qualificatissimo “MD Anderson Cancer Centre” di Houston, dell’Università of Texas – anzi fanno parte del primo fondamentale approccio con i pazienti e sono davvero gli strumenti del mestiere. Questa “attrezzatura” me l’ha regalata il mio staff. Serve a sdrammatizzare la situazione. I pazienti affetti da tumore, seppure in gravi condizioni, hanno anche bisogno di sensazioni positive, vogliono sentire pulsare la vita, darle un significato per accettare il loro presente. Ecco perché qui, almeno al quarto piano della clinica “Maddalena”, nell’unità di cure palliative e di supporto è difficile incontrare visi bui, dai medici agli infermieri».
L’unità è nata nel ’99, prima in Europa, con 7500 pazienti ricoverati in 18 anni di attività, in appena 8 posti letti e decine di medici italiani l’hanno visitata per cercare di riprodurre il modello.
«Queste cure devono essere applicate a tutto il percorso del malato oncologico per migliorare la qualità della vita, dal momento della diagnosi fino alla fine, quando la prognosi è infausta. Molti altri centri in Italia hanno seguito il nostro esempio» spiega Mercadante.
Patrizia Villari, storica collaboratrice del prof. Mercadante, aggiunge: «Molti pensano che si tratti solamente di somministrare della morfina, ma molti studi dimostrano invece che l’integrazione delle cure di supporto con l’oncologia migliora l’efficacia dei trattamenti, la qualità di vita e può addirittura aumentare la sopravvivenza, più di una linea di chemioterapia». Nell’esperienza del reparto si intrecciano tante storie. «Un paziente guarito da mieloma – racconta – che al reparto era arrivato perché era diventato un abuser, ovvero faceva cocktails di antidolorifici, senza andare troppo per il sottile: qui l’abbiamo “detossificato”».
«Ma c’era anche il caso di un paziente in un estremo stato di sofferenza fisica e psichica che aveva deciso di lasciarsi andare, non gli importava più di nulla, neanche di morire -continua Patrizia Villari – Lunghi dialoghi gli hanno fatto ripensare la vita in modo diverso».
Dello staff fanno poi parte l’oncologa Patrizia Ferrera, specializzata in ematologia, da 18 anni in reparto e l’oncologo più giovane, Claudio Adile, 36 anni che segue da vicino le cure di supporto e la ricerca, e ancora gli anestesisti Manuela Spedale e Fabrizio David, mentre tra gli infermieri, il primo sorriso che incontri è quello di Giancarlo.
Anche la dottoressa Ferrera ha una storia che ha seguito da vicino, ed è una di quelle difficili da raccontare: «Gianluca (nome di fantasia), di sei anni, era arrivato da un paese dell’entroterra siculo. Piangeva incessantemente per il dolore da alcuni mesi, ed era senza aiuto – ricorda – dopo qualche giorno è tornato a giocare al computer e sorridere. Purtroppo Gianluca non ce l’ha fatta, se ne è andato dopo poco tempo, ma a casa sua e senza dolore».
Ma perché il metodo è innovativo? Davvero si può unire elevata professionalità ed attenzione per la persona, mantenendo il sorriso malgrado il peso della malattia? «Perché la valutazione di un malato oncologico da parte di personale esperto in cure palliative facilita l’accettazione della situazione e le cure necessarie – spiega Mercadante – grazie a una combinazione mirata di cure simultanee ed integrate».
Così, mentre si stabilizzano i sintomi e il dolore con le più raffinate tecniche farmacologiche, si reindirizza il paziente alla prosecuzione delle cure oncologiche, o al contrario alla sospensione di trattamenti potenzialmente futili e pericolosi: la tappa successiva, a quel punto, è la scelta delle cure palliative in hospice o a domicilio. «Le istituzioni dovrebbero garantire cure come queste – continua Mercadante – che hanno magari minore visibilità rispetto alle tradizionali cure anticancro, ma offrono un evidente sollievo per pazienti». Un circolo virtuoso, che tra l’altro, consente risparmi alla sanità.
E i dolciumi che c’entrano? «Al primo incontro coi pazienti li “sequestriamo” dal comodino – sorride il prof. Mercadante – “Sono buoni questi?” Poi li condividiamo. Per i pazienti è una piacevole sorpresa, il mezzo per iniziare una buona comunicazione.”
“Cerchiamo di rispondere alle situazioni più critiche di dolore, sintomi della malattia o provocati dalla chemioterapia: personalizziamo la terapia, dosi da somministrare per i vari sintomi intestinali, respiratori, neurologici, ma anche il dolore episodico intenso, senza dimenticare la sofferenza psicologica». Spiega il dott. Claudio Adile.
I pazienti provengono da tutta la Sicilia, da altre oncologie, dalle assistenze domiciliari, oltre che dai reparti interni. Poi ci sono gli infermieri, che non dimenticano mai un sorriso, una battuta, per accogliere e rassicurare i pazienti: «i pazienti dicono che sono degli “angeli”– continua Mercadante – perché sono accoglienti e cercano di far pesare meno possibile il ricovero e la malattia».
Il reparto nel frattempo è sbarcato anche sulla rete: il sito è www.mercadantesband.com, e ha un’omonima pagina facebook, per aggiornare ed informare medici e pazienti. L’ ultima scommessa è il rilancio della onlus “Friend against pain & suffering”, da 15 anni attiva a Palermo.
L’obiettivo è quello di attivare un centro di ricerca di alto livello assente nel Meridione e fornire assistenza e supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie. «Purtroppo non abbiamo alcun supporto istituzionale – conclude Mercadante – i fondi li dobbiamo reperire con le donazioni»”.
Le foto in copertina e nell’articolo sono di Mike Palazzotto. Tutti i diritti riservati.