di Gabriele Bonafede
Incontrarla a passo svelto quando concede a Palermo la possibilità di vederla, è già un sortilegio: Aurora Quattrocchi, Rori per gli amici, è soprattutto una magarìa del teatro, oltre che del cinema.
Palermo ha dato molti artisti al mondo. Ma Rori ha un posto particolare. Che si riconosce nella sua arte irrobustita da una personalità sciamanica, surreale e reale allo stesso tempo, condita di contaminazione emotiva.
Non tutto ciò che dice in privato è riportabile al pubblico anche perché non te ne dà alcuna possibilità: sarebbe troppo complesso capire. Perché? Perché lei parla con il viso, con il corpo, con una magia interna, più che con le parole.
Con la grande performance in “Nuovomondo” di Crialese, dove è una “medica”, una sciamana appunto, nella Sicilia primo Novecento che può solo emigrare, Rori ha confermato il suo spazio artistico anche all’estero.
In I love Italian Cinema, il magazine d’oltreoceano che si occupa di cinema italiano, è stata recentemente accomunata a Stefania Sandrelli, Claudia Cardinale, Piera Degli Esposti e Sofia Loren. In una presentazione dal titolo eloquente “The Adorable Little Old Ladies Of Italian Cinema. From one “Vecchietta” to another, I must say, you girls still rock!”
Impressionante antieroe femminile in “È stato il figlio”, di Daniele Ciprì su soggetto di Roberto Alajmo, Rori ha più volte reso passaggi cinematografici in maniera particolarmente densa e decisiva. Nel recente film di Pif “In guerra per amore” in poche scene esalta una storia siciliana emblematica, di fatto sceneggiandone uno dei momenti più belli.
Quella madonnina tenuta a braccia in aria, quell’amuleto spirituale che non riesce a difendere dai bombardamenti, è tra le scene più forti e riuscite di tutto il film.
Non ama la televisione, conferma. E più che dal cinema è sempre stata attratta dal teatro. Con Verdastro ha realizzato pezzi di vita, dramma e storia di una scena sempre grande nella Palermo storica e d’avanguardia al tempo stesso. Rori è infatti una sorta di repertorio vivente per il canto dei venditori ambulanti palermitani, altrimenti conosciuto come “abbanniata”.
Piccolina, tira fuori una voce trascinante quando meno te lo aspetti. Delle abbanniate è di fatto la depositaria storica assoluta, ricordandole e testimoniandole più volte quale singolare retaggio di una memoria fatta di note: “A st’ura m’arrifriscanu, i cievusiiiii”, (A quest’ora mi rinfrescano, i gelsi).
Canto conosciuto a chi ha vissuto qualche tempo fa a Palermo, ormai in disuso o quasi, e che in pochi conosciamo oggi. Abbanniate che esistevano ancora alcuni decenni fa in corsi e stradine di Palermo antico.
“Cavuru, cavuruuu è, u sfinciunelluuu”, e tante altre, che nel suo abbanniare hanno qualcosa in più, molto di più: l’affermarsi di una storia, di una poesia, di una potenza quasi soprannaturale e stregata. A Palermo è legata, ovviamente. Anche se ci vive sempre meno spesso.
Abbanniate, come le sue opinioni: forti. Ad esempio su Palermo Capitale della Cultura. Capitale della Cultura? … e parte una risata.
“Forse hanno capito cul-tura e che quindi derivi da culo. Così sono contenti perché credono che porti fortuna. Se è così, va benissimo: ci si può sempre sperare, nella fortuna.”
A Palermo ci vivi poco, o sbaglio?
“Sì. E a volte spero di non venirci più. Torno spesso qui, ma più che altro per motivi familiari. Ho i miei nipoti ed è l’unica cosa che realmente mi lega a questa città. Per il resto il nulla, o peggio.”
Ad esempio?
“Ad esempio, il mare di Mondello mi fa veramente pena: è come una bella donna ormai anziana che tenta di mantenere la bellezza perduta nonostante tutto. Il mare e i colori sono sempre bellissimi, ma quella piazza è diventata una cosa incredibile, un disastro. Scendi dall’autobus e ti ritrovi nel tavolino di ristorante per la folla e il caos che c’è. Tutto è invaso da tutto, persino da cacate di cani ovunque. Inciviltà dappertutto e … il pesce fete dalla testa. ”
Che speranze per Palermo allora?
“Quando i palermitani vanno in città civili diventano civili. Ma qui sono, siamo, tutti autolesionisti e diciamo che siamo noi a sporcare. Ma quando c’è immondizia ovunque c’è poco da fare. Palermo, poverina, mi fa piangere, un poco di rabbia e di tenerezza, infamata e sputacchiata da tutti. Ci stanno raschiando pure le ossa. Palermo va amministrata meglio.”
I benefici di Capitale della Cultura a chi andranno?
“Ieri camminavo per via Libertà, e alcuni operai stavano ritoccando le pensiline delle fermate di autobus con una latticedda di vernice: fanno quattro ritoccheddi e basta. Cosa faranno? Penso nulla di utile. Anche se è sempre giusto sperare in un futuro migliore, per fortuna o altro.”
Qui, in quattro risposte a domande trovate nel nostro tempo banale, c’è tutto. C’è Rori Quattrocchi che, nel suo fare sciamanico, parla per brevi frasi “a effetto”.
O per essere più precisi, con quella sapienza antica di una Palermo popolare, oggi abbandonata a se stessa.
Palermo Capitale della Cultura o Capitale del Nulla? Tutto sta a decifrare un’abbanniata.
Foto in copertina e nel testo di Giulio Azzarello. Tutti i diritti riservati.
Intervista dai contenuti Penosi!Da quello che dice si evince un certa rabbia e poca liciditá,perche io non rimpiango affatto la Palermo povera e violenta che ricorda la Quattrocchi,sicuramente puo essere amministrata meglio,ma oggi è una citta con una viva attivitá culturale(vedi Emma Dante,lo stesso piff,o gli innumerevoli festival di teatro,musica e cinema),è una cittá finalmente NORMALE,piena di ristoranti,pub,e club,che sicuramente non piacerenno alla Quattrocchi,ma che sono meglio degli ambulanti sporchi e omertosi di una volta,resti a Torino e non venga solamente una Tantum a lamentarsi delle pensilline degli autobusi fatti con una “lanna” di vernice…per favore resti pure a Torino e non venga a lamentarsi di cio che conosceva e che oggi chiaramente non conosce piu!