di Anna Fici
Viviamo una vita arsa, bruciata dall’inquietudine, dalla troppo frenetica ricerca di “sapidità”: cose da fare, eventi da attendere… Eppure raramente ci concediamo alla vera commozione, quella che arriva quando meno te la aspetti perché all’improvviso ti senti toccato proprio là dove fa male.
Il teatro lo fa. Il teatro ti tocca. Non tanto o non soltanto sotto la forma definita e replicabile della rappresentazione ma nel suo farsi, nel suo processo. Il teatro prende le tue cose più segrete e te le mette davanti come personaggi con cui dialogare: traumi, delusioni, brutti ricordi, batticuori e farfalle allo stomaco. Ma come lo fa? Non sa i fatti tuoi. Oppure si?
Forse si perché da sempre svolge la precisa funzione di mettere in contatto la coscienza individuale con quella collettiva e di renderci consapevoli che i fatti nostri sono come quelli degli altri, che possiamo identificarci e immedesimarci nelle realtà e nei sogni della comunità.
Ma allora, se è così, il teatro a Ballarò fatto da Ballarò che esperienza può essere?
Questo quartiere-mercato storico di Palermo, è miracolosamente una comunità intatta dentro la città. Un paese che si apre al resto della città e al mondo riuscendo a non disperdere la propria identità. Questa dimensione di comunità a sé stante è vissuta dai suoi abitanti come un orgoglio e come una condanna. Forse come un orgoglio in reazione a una condanna, sancita da pregiudizi e forme di etichettamento che nel tempo il quartiere ha interiorizzato.
I suoi abitanti svolgono tanti mestieri ma prevalentemente vivono da commercianti, alcuni dei quali ambulanti, abusivi e non, e da robivecchi, convivendo con la nutrita popolazione immigrata: ganesi, senegalesi, nordafricani e asiatici.
In origine, Ballarò era un mercato esclusivamente di generi alimentari. Oggi si è allargato e arriva fino alla Chiesa di San Saverio. In questa zona è il punto di ritrovo per tutti coloro che raccolgono di notte abiti dimessi ed oggetti di ogni genere dai cassonetti della spazzatura, per poi rivenderli in piazza l’indomani. Vi si trovano le cose più assurde: pezzi di filo elettrico, vecchi televisori, funzionanti e non, biglietti usati dell’autobus risalenti agli anni Settanta e persino agendine telefoniche vecchissime, con i numeri scritti da chissà chi…. I frequentatori abituali sono sia i collezionisti che, soprattutto, i pensionati, i disoccupati e i poveri che non possono acquistare il nuovo e che affrontano anche molta strada per l’offerta conveniente di questo mercato.
Ballarò è un luogo a tinte forti, in cui la morte ti urla dalle bocche spalancate dei pesci e dalle verdure marce per terra del giorno prima; ma è anche un formicaio di persone operose, che trascorrono la giornata in strada per vendere, si e no, una decina di euro di aglio e prezzemolo; o passano la notte fuori a cercare tra la spazzatura dei quartieri “bene”.
Dove, se non a Ballarò, si trova gente disposta a questo, quando sarebbe tanto facile e comodo entrare a far parte della manovalanza mafiosa?
Ovviamente c’è anche quella, lì come altrove. Ma oggi si parla molto di più che in passato. Oggi – ci racconta Costanza Licata – le famiglie sono più disposte a “fari veniri fori i scravagghi”, a parlare delle violenze private subite da adulti e bambini che un tempo erano tabù assoluto.
La Chiesa rappresentata dal Centro di Santa Chiara, dalla Parrocchia di San Nicolò e dal Carmine Maggiore, a partire dall’impegno di Padre Cosimo Scordato, di Padre Meli fino al 2003 ed oggi di Don Enzo Volpe, ha sicuramente favorito il superamento dell’omertà su questi temi, ponendosi alla pari nell’affrontare i tanti problemi.
In questo contesto, forse giunto al giusto grado di maturazione, sono recentemente approdati Salvo Piparo e Costanza Licata, avviando un’esperienza laboratoriale culminata sabato 15 aprile in una rappresentazione pubblica itinerante, che ha visto coinvolti alcuni abitanti di Ballarò.
Il gruppo costituito da persone di ogni età e da una giovane donna ganese che lascia sperare in una integrazione ancor più riuscita, ha partecipato con entusiasmo agli incontri preparatori durante i quali si è messo a fuoco il primo obiettivo: ripensare la passione di Cristo come la passione di ogni “povero Cristo”, ovvero di ciascuno di loro.
Ispirandosi liberamente al Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini (1964), sono state tessute insieme le loro storie e sono state valorizzate le loro capacità. In questa prima fase, la scelta di Salvo Piparo è stata quella di non tentare di attribuire loro alcun personaggio, di non attribuirgli alcun abito che non fosse il loro.
Insieme a Costanza si è ritagliato il compito maieutico di favorire il parto delle parole dell’anima. Parole semplici, talvolta ingenue, che sono state pronunciate a volte con qualche tentennamento ma che volevano proprio essere pronunciate. Una bella novità.
La rappresentazione è stata molto partecipata. Il laboratorio vuole avere un futuro. Si riprenderà presto con un nuovo obiettivo: inserire i partecipanti negli spettacoli del duo artistico, portando così Ballarò anche fuori da Ballarò, per scoprire che grazie al teatro si possono trovare nuove e più vaste forme di identificazione ed immedesimazione.
Foto in copertina e nel testo di Anna Fici.