di Gabriele Bonafede
Marco Pomar, scrittore e anche autore di testi teatrali è conosciuto a Palermo per i suoi libri gustosamente ironici, una specie di Luís Fernando Verissimo in salsa siciliana. Mitico il suo primo libro pubblicato qualche anno fa, “La Memoteca”, seguito da altri largamente diffusi, per lo meno in città.
I suoi testi di teatro sono taglienti commedie surreali al limite del dramma. Ridere bene e ridere amaro, con la capacità di far pensare. Di successo, di grande successo in città, il suo “Bastian contrario” scritto insieme all’attore Sergio Vespertino che lo interpreta brillantemente.
Ogni volta che Marco posta un pensiero sul suo profilo Facebook, anche su piccole cose della vita di ogni giorno, fa il pieno di apprezzamenti e commenti.
Visitare la sua “bacheca” è diventato, da anni, una specie di “cult palermitano”, oltre a un divertimento.
Uno dei suoi post più recenti è una seria e amara riflessione che ha ricevuto un’attenzione particolare. Ed è sulle imminenti elezioni per rinnovare la carica di Sindaco di Palermo e il Consiglio Comunale. Eccolo per intero:
“Ho sempre votato, non mi sono mai astenuto o scelto di andare a mare, se si escludono forse un paio di inutili tornate referendarie. Confesso che per le prossime amministrative palermitane sono davvero in difficoltà.
Non mi sento rappresentato da nessuno, non sono per nulla contento dell’ultima sindacatura, eppure considero le alternative di gran lunga peggiori del male.
Dice: ma conviene sempre votare il meno peggio. Ah si? E perché mai? Quanto può resistere il mio fegato nel continuare a scegliere il male minore dentro l’urna?
In questo caso non votare rappresenterebbe una scelta consapevole, non un generico e qualunquista “sunnu tutti cuinnuti!”, ma un segnale di profonda insoddisfazione per partiti incapaci di identificarsi con il popolo, di movimenti che di sinistra hanno solo, a volte, il nome sul simbolo, di candidati che pur di vincere saltano da un’ideologia all’altra e imbarcano riciclati come acqua il Titanic.
Penso che alla fine prevarrà in me quel residuo di senso civico, il minimo necessario di impegno politico, con una considerazione amara: a forza turarsi il naso quando si vota, si rischia di morire soffocati.”
A Palermo ormai non si vota più per il meglio. E nemmeno per il meno peggio. Si è arrivati a votare per evitare il peggio. E ci vuole pure coraggio.
Una statua di piazza Pretoria (nell’immagine di copertina), quella davanti al Municipio di Palermo dove il Sindaco amministra la città, è stata vergognosamente imbrattata da un incivile con la parola “courage” (coraggio). Ironico, Piazza Pretoria a Palermo è conosciuta anche come Piazza della Vergogna, per via delle statue nude. Vergognoso, oltre che ironico.
Forse è stato un turista francese, o forse qualcuno che voleva essere spiritoso violentando l’arte con un epiteto di sfottò in lingua straniera. In qualche modo, segnala il decadimento morale e materiale di questa città: qualcuno non si è curato di salvaguardare quanto di buono c’è, pur di dire la propria.
È la protesta autolesionista in una città storicamente autolesionista? È solo un ubriaco che non ha trovato di meglio da fare sotto i fumi dell’alcol? È un vandalismo privo di senso compiuto e basta?
Ci vuole “coraggio” anche per questo.
Il coraggio va speso per costruire, non per distruggere. Ci vuole soprattutto il coraggio di ricostruire, che è molto più oneroso e faticoso di quello, falso, sbandierato a destra e a manca e foriero solo del peggio, ovvero il “coraggio” di distruggere.
Per i palermitani, ci vuole invece il coraggio di ammettere i propri errori. Ci vuole il coraggio di ascoltare le cassandre. Ci vuole il coraggio di costruire un futuro facendo una scelta di civiltà e non una di protesta fine a se stessa. Ci vuole il coraggio di accogliere e non chiudersi. Ci vuole il coraggio di abbattere muri anziché alzarli.
Ci vuole il coraggio di ammettere che ogni elettore costruisce il futuro, partiti o non partiti, movimenti o non movimenti. Ci vuole il coraggio di essere presenti, magari non con la politica, magari non come candidati, ma come operatori di crescita civile e persino dell’arte. Ci vuole il coraggio d’evitare di distruggere l’arte e creare invece arte civile.
Soltanto con questo coraggio, Palermo potrà riscattare se stessa.
Foto in copertina e nel testo di Giusi Andolina