di Gabriele Bonafede
È il 27 febbraio 2017: centodieci anni fa nasceva il Palermo rosanero, abbandonando i colori iniziali rosso e blu. Rosanero: i colori del dolce e dell’amaro, nell’ormai nota lettera di Ajroldi che avrebbe festeggiato con il rosolio rosa le vittorie e con l’amaro nero le sconfitte. Purché ci si inebri di calcio e di un buon bicchiere.
Erano i tempi dell’Anglo-Palermitan Athletic and Foot-Ball Club: un Palermo anglosassone. Come il Palermo anglosassone, o più precisamente anglo-americano che nasce esattamente 110 anni dopo con l’annuncio, storico, delle dimissioni ufficiali di Zamparini.
Si chiude un’era, ricomincia un’era. Si parte daccapo, con quei colori, con quella stessa idea di sportività e competizione: il rosa e il nero.
Tifosi raggianti, tifosi in lacrime, tifosi perplessi, tifosi dubbiosi, tifosi speranzosi e tifosi che guardano indietro a ripercorrere l’era-Zamparini. A rivedere la moltitudine rosa sugli spalti del Barbera e la moltitudine di giocatori in rosa, sul campo tornato verde, che sono diventati campioni prima a Palermo e poi hanno vinto in altri colori.
Quante volte abbiamo evocato quelle vittorie una volta impossibili, quei record, quelle cose incredibili realizzate dal patron friulano. Quante volte abbiamo visto quei colori lassù tra i primi posti della massima serie.
È difficile ricordare in poche parole tutti i momenti più belli come quelli più tristi.
Si sa molto poco del nuovo gruppo. O per lo meno, ne sanno poco i comuni tifosi. “Investiranno sul nuovo stadio e su una posizione che competa alla piazza”, si legge qua e là.
Ma il palermitano è nostalgico e sospettoso per natura. Allora, come pronto accomodo, anche tra i più convinti anti-zampariniani, anche tra i più gravi affetti dal virus della “zamparinite”, scorrono quelle immagini: il tunnel di Pastore a Chiellini, i gol e le vittorie a casa della Juventus, gli ottanta e più gol di Miccoli, le micidiali cavanate di Cavani, le vittorie contro il Catania, le cavalcate vittoriose a Londra e a Francoforte, lo Shalke messo sotto al Barbera, il West Ham umiliato a champagne, il primo posto raggiunto con i piedi e la testa di Amauri.
Il genio di Corini, le perle di Dybala, l’urlo mondiale di Grosso, l’orecchiata di Toni, i dribbling elegante di Vazquez, le paratone di Fontana, il visibilio di Vasari, le due promozioni in serie A, gli occhi felici di Rossi, l’acchianta di Guidolin a Monte Pellegrino dalla Santuzza. Il San Siro rossonero sbancato a salto di Canguro, a passo di Fabrizio e a gloria di Paulo. L’urlo di Ilicic, le smargiassate di Hernandez, l’Inter messo sotto da una fiondata di Pinilla, la rasoiata di Lazaar all’Udinese, il missile di Cassani con gli occhi di Buffon che lo vedono entrare sotto la Curva Nord vestita a bolgia.
L’impeto di Balzaretti, l’Olimpico sbancato con scacco ai giallorossi come ai biancazzurri. Le manite alla Lazio come al Cagliari, le punizioni di Bovo, Di Michele, Miccoli, Corini, Dybala, e tanti altri. Il canto del gallo Belotti.
Non basterebbe un’enciclopedia e non basterebbe un’Odissea: l’era Zamparini in rosanero sarebbe più lunga di tutti i libri omerici messi insieme. Per raccontare glorie e tragedie, altare e polvere, festa e mestizia, successo e follia. Non basterebbero venti tomi a raccontare tutte le emozioni, belle e brutte, per ognuno dei tifosi che vanno al Barbera e altrove con i colori del rosa e del nero, anche a voler riassumere tagliando tutto o quasi come in un film che deve durare solo due ore.
Sarebbero lunghe anche le pagine dello sconforto e della tensione. Quell’ultimo gol del Gilardino ritrovato, l’ultimo violino suonato contro l’Hellas Verona per rimanere in serie A. Quella lunga fila di panchine diverse che può coprire la strada da Palermo a New York, se ce ne fosse una. Quelle squadre fatte cambiando tutto in estate, per poi trovarsi in fondo alla classifica, come siamo messi oggi.
Quelle scommesse, antiche e recenti, molte perse, molte vinte. Quel Nestorovski che arriva da dribblato e poi invece è magico. Quelle sciarriate colossali con l’allenatore di turno, quelle promesse non mantenute, quei giocatori che non sono mai arrivati, quella coppa che non è stata alzata in una Roma che era tutta rosa di festa.
Quel rosa e nero, e quel nero e rosa: andata e ritorno come il biglietto dell’autobus da Brancaccio a Via del Fante o da Punta Raisi a Fiumicino.
Quel posto numerato in Curva Sud, sul giornale posato a mo’ di cuscino, e la sciarpa in bella mostra: si vinca o si perda. Che vada o non vada. Quel ghiacciolo all’arancia con il sapore del gol, spesso per noi, e spesso per loro negli ultimi tempi. Quel panino con le panelle, quel “calcio r’ammaru”, quell’arbitru è sempre curnutu. Quell’incazzatura contro il commentatore tv, o contro l’attaccante rosanero che non la mette dentro.
Quel… “l’ho sempre detto che Dybala era forte”, dopo averlo bollato per “un pacco da 12 milioni”. Quell’entusiasmo facile, corroborato dal patron, e poi diventato disillusione e persino odio. Quel “preferiamo la C con dignità”, quella follia ondivaga tra le stelle e le stalle. Quel tifo assurdo, senza costrutto, come sono sembrate alcune squadre del patron.
Quella polvere di stelle che ci è rimasta tra le mani mentre altre squadre vincono con le stesse stelle fatte a Palermo, dal tifo rosanero e dalle innegabili capacità di un presidente storico. Un presidente tanto amato quanto odiato, tanto osannato quanto dileggiato. Un presidente che, lo si ammetti o meno, ha fatto la storia del calcio rosanero e ben oltre per quindici anni indimenticabili.
Quello che nessuno sa, se non lo ha vissuto sempre. Prima, durante e dopo l’era Zamparini. Tutto quello che sa solo il tifoso del Barbera.
Il Palermo di Zamparini è già storia. Continua la storia rosanero.
non sanno nemmeno che il palermo è nato 117 anni fa e scrivono pure
bell’articolo con pessimo titolo