di Daniele Billitteri
Una mamma non riesce a far smettere al figlio adolescente di farsi le canne. Chiama la Guardi di Finanza che arriva, trova 10 grammi di marijuana e mentre procede nella perquisizione il ragazzo si butta giù dalla finestra e muore. A Palermo operazione anti spaccio. Sui giornali finiscono nomi e foto degli spacciatori arrestati ma non quelli degli acquirenti (indagati) molti dei quali appartenenti alla classe delle cosiddette “professioni liberali”. Tra le due vicende, a parte l’ovvio legame costituito dal fatto che ambedue riguardano il mondo della droga, c’è una forma di collegamento che merita di essere approfondita ed è il rapporto che c’è tra vizi privati e pubbliche virtù.
Sia chiaro: la tragedia del ragazzo suicida è troppo immensa per essere discussa e sono certo che il dolore della sua famiglia lo è altrettanto. Sono anche convinto che chi pone un rapporto di causa effetto tra la “denuncia” della madre e il volo del ragazzo forse non fa torto alla ragione (forse) ma sicuramente non ha il senso dell’opportunità. E magari dell’umanità.
Quando in una famiglia si scopre che un figlio fa uso di droghe, la prima considerazione che la disperazione suggerisce è questa: “Non gli ho fatto mancare niente” dove, magari, per tutto si intende l’ultimo modello di smartphone, Hogan e Piumini, gadget – insomma – materiali. Spesso questo è un modo discutibile di dire al figlio quanto lo amiamo: “non potremmo permettercelo, ma per te ce li leviamo dalla bocca”. E gli facciamo male. Questo lo sanno tutti. Io non avrei fatto intervenire la Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle possono affrontare un problema di spaccio o detenzione di stupefacenti ma non certo uno di disagio giovanile.
Come la mettiamo coi pomeriggi trascorsi nella stanzetta “dentro” lo smart a chattare? Chat vuol dire parole, pensieri, intenzioni, sogni, errori, bisogni. Anche cazzeggio. Ma c’è un cazzeggio della disperazione, dello star male col mondo intero. Non c’è bisogno di Bauman e della sua “società liquida” per rendersi conto che c’è una vasta zona di bassa pressione sui cieli di una intera generazione. Siamo sicuri, da genitori, di fare sempre il possibile per comprenderne le dinamiche? Sicuri di non aver fatto mancare niente?
Quante volte facciamo prevalere il concetto “tu fai questo perché lo dico io”, invece di cercare di spiegare, di partecipare, di condividere, di smontare le porte delle stanze di casa, di farne un open space dove i turbamenti di tutti, vecchi e giovani, diventino patrimonio comune di esperienza? E quante volte di fronte al bullismo abbiamo usato l’infame sinonimo di “ragazzate”? Chi chiama la polizia di fronte a un episodio di “bullismo senza rilevanza penale”?
E il branco? Come abbiamo potuto delegare a questa struttura autoritaria il potere di condizionare i comportamenti dei ragazzi? Lo so ci sono pure quelli che spendono energie nello sport, nel volontariato, nelle attività creative, dalla musica al teatro.
Ho a che fare con i cento e più ragazzi (e ragazzini) della scuola di teatro di Elisa Parrinello. Non mi aspetto mele marce in questo cesto. Perché Elisa trasmette loro un’arte, un mestiere e una ragione. Queste sono le vere pubbliche virtù che diventano private perché si trasformano in stili di vita, a fronte di vizi privati così endemici da potere essere considerati pubblici.
Andiamo all’indagine sullo spaccio a Palermo e all’omissione dei nomi dei consumatori. La prima cosa da dire, e la dico da vecchio giornalista, è che ormai le redazioni sono drogate di comunicati stampa. Quando facevo il cronista io nelle questure non c’erano uffici stampa e ci dovevano fare il culo per avere una notizia. E se la volevano nascondere, la cercavamo altrove.
Insomma il “mestieraccio”. Adesso invece distribuiscono le pappine, gli scoop sono quasi sempre pilotati e siamo al paradosso che c’è chi passa il tempo a mettere aninimamente palate di merda nei ventilatori, senza dimenticare di mettere la foglia di fico sulle pudenda dei comunicati ufficiali.
Se un chirurgo si fa di coca e, se non ce l’ha, diventa nervoso e mi opera nel rene sbagliato, io lo devo sapere. Non c’entrano le gogne. Un avvocato che tira è o no potenzialmente ricattabile?
Certo: come quello che beve o si gioca i soldi dei clienti alle scommesse. E un magistrato? Che succede se lascia prevalere una “pista” su una pista? Possono questi aspetti essere considerati dei vizi privati? Nella società della comunicazione, di Internet, di Facebook, degli smart e dei tablet non ho dubbi: no. Men che mai per chi ha la responsabilità (e la competenza e la professionalità) della gestione dell’informazione.
In copertina, l’attrice Laura Betti. Foto tratta da Wikipedia. Di Gawain78 – catturato personalmente dall’autore sotto indicato dal DVD Surf Video, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2753137
Foto di Zygmunt Bauman tratta da Wikipedia. Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=607197
Sono perplessa. Da un lato la libertà dell’individuo, dall’altro il Grande Fratello. Se dobbiamo sapere cosa si mette nel naso il nostro chirurgo, dobbiamo anche sapere cosa beve e se è depresso. Ma questo tutela noi? O ci riduce a macchinette non pensanti?