di Valeria Lo Verde Morante
Puntuale come ogni anno arriva Sanremo, fra tante canzoni, qualche polemica e gli italiani che per una settimana, anziché allenatori di calcio, diventano tutti esperti di musica. Arrivati alla finale, si tirano già le somme e resta qualche considerazione sparsa.
Innanzitutto, rispetto a un ventennio fa, il festival non propone più soltanto i soliti inossidabili nomi, ma anche un bel po’ di musica giovane, una ventata d’aria fresca. Fin troppo. Perché la metà di questi cosiddetti big sono praticamente dei perfetti sconosciuti, dei prodotti televisivi, magari bravi, ma che di big hanno ben poco.
Imperdibile la clip iniziale in cui i venti big si raccontano ed una buona metà ammette candidamente di non conoscere l’altra metà. Diciamolo, se fosse un’edizione di dieci anni fa, buona parte dei big avrebbe gareggiato fra i giovani, quindi non lamentiamoci se dopo qualche mese le canzoni del festival non le ricorda nessuno.
A vincere Sanremo è fin da subito Maria De Filippi, con i suoi pochi cambi d’abito, qualcuno pure brutto, e con la sobrietà che la contraddistingue. Fin dai primi minuti della prima serata ha dettato il ritmo del festival, rallentando e togliendo ogni brio ed enfasi alle presentazioni (ricordate, invece, Arisa?), ma con enorme personalità e professionalità.
Ha scelto di sedersi sui gradini (“questo è il mio posto”) ha detto alcuni “no” alle richieste di Carlo Conti (autentici, anche se, magari, compresi nella scaletta), ha dimostrato grande padronanza del palcoscenico, quel palcoscenico che terrorizza tanti professionisti.
Carlo Conti conosce bene il suo lavoro e non sbaglia un colpo; è più interessato al risultato globale della sua creatura (il festival) che al suo ego e alla sua affermazione personale, raggiunge il top con qualche guizzo “baudesco” e incredibilmente, il festival, seppur lungo, sembra meno lento e soporifero.
Certo si sarebbe ottenuto un risultato migliore scegliendo delle belle canzoni, anziché questo miscuglio di banalità. La maggior parte dei brani sfiora la mediocrità, altrettanto le interpretazioni. Finiamola con questo fatto che il brano funzionerà in radio e quindi avrà successo: dopo una selezione così impegnativa e potendo scegliere tra tantissime canzoni, non è troppo pretendere che i brani di Sanremo funzionino proprio a Sanremo.
Ovvio, ci sono le eccezioni: Fiorella Mannoia, Paola Turci ed Ermal Meta hanno proposto delle grandi canzoni, interpretate in maniera eccellente. Applausi anche per Marco Masini, Elodie (ma non per la canzone), Francesco Gabbani (beata leggerezza che allieta un po’ la serata), Samuel (benvenuto sound contemporaneo). Delusione per Zarrillo, che avrebbe potuto fare molto meglio e per Al Bano, settant’anni e qualche acciacco recente, non ce la fa come una volta.
Della prima serata, l’unica che ho seguito per intero, durante il bellissimo intervento dei soccorritori del terremoto noto che tutti, proprio tutti, parlano un italiano corretto, e penso ai tanti nostri politici o imprenditori, che ricoprono posizioni di altissimo prestigio, guadagnando dieci volte le cifre dei soccorritori e che, quando parlano, sono inascoltabili per dizione, grammatica e sintassi.
I dati di ascolto rendono quest’edizione di Sanremo un altro successo, mentre un traguardo personale lo raggiunge Clementino con il video di “Ragazzi Fuori” visualizzato ben 500.000 volte in 24 ore.
I giovani “dell’altra gara”, purtroppo o per fortuna, non li ho ascoltati, neanche uno.
La serata delle cover ha definitivamente svelato la pochezza di tanti che hanno calcato il palco scegliendo grandissimi brani e spesso, purtroppo, massacrandoli. Ermal Meta è stato premiato meritatamente per la cover di “Amara terra mia”, anche Marco Masini ha reso il giusto omaggio a quel capolavoro di “Signor tenente” reso indimenticabile da Giorgio Faletti, promossa anche Paola Turci con la difficile “Un’emozione da poco” di Anna Oxa.
Ma alla quarta serata arriva l’imprevisto che proprio non ti aspetti. Tre dei quattro eliminati sono big sul serio, artisti con esperienza e carriere da fare invidia, tantissimi dischi venduti e un pubblico enorme, che però, evidentemente, non vota.
Al festival non cantano dei capolavori, ma obiettivamente c’è di peggio. Dalla platea si leva un coro di disapprovazione e altrettanto accade in sala stampa.
Va bene che il verdetto del festival deve rappresentare il gusto del paese, però, visti i risultati, sarebbe meglio salutare la giuria demoscopica, ammessa al voto solo da venerdì ed evidentemente propensa a far danni e far votare di nuovo i giornalisti in sala stampa, che nelle prime tre serate hanno dimostrato maggiore competenza, o si rischia che a conquistare il podio sia qualche brano davvero immeritevole.
Se le canzoni e i cantanti sono il piatto principale, questo ha comunque un bel contorno.
Sorvolando sui “valletti” Bova e Totti (si poteva fare peggio di Garko? Sì, si poteva!) e sugli interventi comici ben riusciti, ma distanti anni luce da alcuni passaggi indimenticabili del passato (Crozza promosso senza lode), c’è anche la sezione “soldi buttati”. Imbattibili, qualunque sia la cifra spesa, quelli per Rocco Tanica in collegamento dalla Sala Stampa (anche quest’anno, ma a chi piace?) e quelli per la coppia Delon-Belmondo, rispettivamente figlia e nipote d’arte, intervento inutile e fuori contesto, infatti già dimenticate.
Partecipazione di alto livello artistico invece quella di Ricky Martin (praticamente una lezione di dieci minuti su cosa significhi essere un artista completo), quelle di Giorgia (che a Sanremo, ricordiamo, ha esordito fra i giovani), Robbie Williams (compreso il bacio a Maria, ché il gossip quest’anno scarseggia), Mika (autentico mattatore) , LP, la danza della Compagnia Kitonb e ovviamente il “Premio Città di Sanremo” consegnato a Giorgio Moroder, uno dei migliori produttori viventi, autentica leggenda della disco music, omaggiato con un medley di “Take My Breath Away” da “Top Gun”, “Hot Stuff” di Donna Summer, “What A Feeling” da “Flashdance” e “Call Me” dei Blondie da “American gigolò”, giusto per ricordarci che la buona musica esiste.
Infine, in attesa della finale di stasera, resta solo una cosa da dire: Fiorella, vincilo tu questo festival e rendi giustizia alla musica italiana.