di Gabriele Bonafede
La quantità di cose “strane” che Trump sta portando avanti già dalla prima settimana da Presidente degli Stati Uniti sconvolge persino esponenti del suo stesso Partito Repubblicano (il GOP). Il ritiro dal TPP, ad esempio, sconfessa uno dei pilastri del GOP, ossia la libertà di commercio e la funzione del governo nel garantirla e promuoverla.
Pare che leda anche gli interessi degli Stati Uniti a vantaggio di quelli della Cina, nonostante lo stesso Trump abbia indicato più volte la Cina come non corretta nel nodo del commercio estero. Si rimane di stucco, non solo tra i tradizionali avversari democratici ma anche tra le fila dei repubblicani.
Altre esternazioni, come i ripetuti attacchi alla stampa, vanno anche oltre essendo contrari ad alcuni capitoli della stessa Costituzione americana. E sono già molti i controversi provvedimenti e annunci in pochi giorni, tra i quali: la conferma a voler costruire un muro con il Messico e a farlo pagare ai messicani, la formazione di una squadra di governo fatta di lobbisti che aveva invece attaccato durante la campagna elettorale, l’approvazione di progetti e politiche in dispregio dell’ambiente, così come il continuo ed esteso uso di twitter e i legami con Putin, tuttavia considerato come il nemico numero uno degli USA da molti repubblicani.
E oggi, Trump inizia di fatto una crisi diplomatica con il Messico, dichiarando di non voler ricevere il Presidente messicano nel caso in cui il muro non venga pagato dal Messico.
Ma ieri il Presidente-USA aveva aggiunto un’altra delle sue “perle”, forse ancora più grave per la democrazia degli USA: una volta di più Trump si è politicamente “sparato a un piede”, affermando in un’intervista che le elezioni americane sarebbero state condizionate da truffe. Le elezioni che lo hanno eletto. Con affermazioni che dimostrano l’assoluta ignoranza nella statistica di base, ha anche detto che queste supposte frodi siano molto ampie (da tre a cinque milioni di voti) e non riguarderebbero alcun voto “no one”, nemmeno uno, espresso a suo favore. Cosa statisticamente e ovviamente impossibile, oltre che pronunciata con il suo stile da molti giudicato quasi puerile.
La cosa non è passata inosservata ed è stata paragonata da alcuni, come in altre occasioni, a “spararsi a un piede”, ovvero azzoppare ulteriormente la sua Presidenza che già viaggia in cattive acque.
Ma Trump non se ne dà per inteso. Le sue affermazioni restano gravissime per la democrazia americana portandola a polemiche tipiche di Paesi con una democrazia molto giovane e incerta, quale è in alcuni Paesi africani o asiatici dove i candidati si appellano a supposte frodi di ogni tipo nel tentativo di ribaltare la loro sconfitta o rafforzare la loro vittoria.
Qui c’è persino di più. Trump, ovviamente, vorrebbe togliere l’ombra della sconfitta numerica rappresentata da quasi 3 milioni di voti in più per la Clinton. E che, contando i voti anche dei candidati indipendenti, porta l’opposizione al 54% dei voti validi. A conti fatti, il vantaggio di chi non ha espresso la preferenza-Trump arriva a ben 11 milioni di voti validi e certificati.
Il Presidente ha dunque proposto l’idea di un’inchiesta giudiziaria sulle eventuali frodi con l’evidente intento di non è essere più considerato un presidente eletto da una minoranza (46%) dal punto di vista dell’elettorato nel suo insieme.
E qui, oltre a rischiare gravemente di sconfessare il voto (comunque valido) per la sua Presidenza, entra in un pasticcio. Sono infatti i singoli Stati dell’Unione a gestire le elezioni. Spesso e volentieri sono Stati amministrati da governatori repubblicani, cioè dello stesso partito di Trump, il GOP. I quali, di fronte alla presa di posizione di Trump, hanno iniziato a storcere il naso e a palesare contrasto.
Inoltre, i controlli sulle eventuali frodi sono già esistenti, com’è facile intuire in un Paese a democrazia sviluppata da quasi due secoli e mezzo quali sono gli USA. Dalle diverse indagini Stato per Stato si evince che le frodi ci sarebbero, anche quelle considerate da Trump come il voto di elettori ormai morti o che hanno una doppia residenza in due stati diversi. Ma ammontanerebbero a percentuali piene di zeri dopo la virgola: tra lo 0.00004% e lo 0,0009%. Ovvero, per numeri che sono molto lontani dai tre-cinque milioni che ha citato il Donald della Casa Bianca.
Ovvio, un’inchiesta (che non si può escludere sia poco credibile) potrebbe far uscire fuori che Trump abbia ragione. Ma a quale costo per la democrazia americana e nel mondo?
Molti, anche esponenti repubblicani, si sarebbero già premurati di non accettare un’inchiesta federale su una materia da sempre gestita dai singoli Stati, oltretutto molti dei quali governati dallo stesso partito di Trump.
In alcuni stati del Sud, come la North Carolina, semmai ci sono stati tentativi di promuovere regole che rendessero più difficile il voto a elettori di colore molto più vicini ai democratici e largamente anti-Trump. Nel Wisconsin, dove la Clinton ha perso per pochi voti, le nuove regole (più stringenti in quanto a riconoscimento degli elettori) hanno ridotto le capacità di voto di elettori tradizionalmente democratici. Quindi potrebbe invece esserci un risultato opposto a quello ricercato da Trump. “I giudici hanno identificato errori sistematici nel distorcere il voto negli ultimi anni. Ma queste danneggiano elettori tradizionalmente democratici e aiutano quelli repubblicani” scrive la CNN al proposito.
La credibilità di Trump, per molti, è già molto labile. Se poi l’eventuale inchiesta confermasse frodi marginali rispetto all’ampiezza del corpo elettorale, sconfessando le pesanti dichiarazioni di Trump, sarebbe un duro colpo alla sua Presidenza. Se poi uscisse fuori la presenza di frodi o di regole ad arte per aiutare Trump, sarebbe ancora peggio: un colpo a un piede della Presidenza Trump e uno, grave, al cuore e alla solidità della democrazia americana.
E un motivo in più per l’impeachment, tra i tanti già potenziali e che forse sarebbero sottoscritti da parlamentari e senatori del GOP. Una fronda che si allargherebbe di giorno in giorno.
Ma è anche evidente che Trump possa facilmente rimanere in sella. Più volte il suo comportamento è stato equiparato a “spararsi a un piede” durante la campagna elettorale. Che poi ha vinto, sia pure di poco e con un voto numericamente minoritario. Trump sembra dunque saldo al governo egli Stati Uniti ancora per molto, impeachment o meno. Nonostante le probabilità di un impeachment fossero quotate già la scorsa settimana al 50%: non lontane da una vittoria dell’Inter a Palermo (67%).
Per la cronaca, l’Inter ha poi vinto per 1-0 al Barbera. Ma lì c’è l’aiuto dei rosanero, da qualche tempo anche loro impegnati a spararsi nei piedi da soli.
Chissà per quale mistero lui si spara nei piedi e il dolore lo sentiamo noi…