di Gabriele Bonafede
Palermo è città nei guai: altissima disoccupazione, economia che ha pagato e continua a pagare più di altre città la crisi economica, qui sempre più lunga e stagnante quando altrove ci possono essere segnali di ripresa. Palermo che ha migliaia di impiegati in settori da paese sottosviluppato, come i call center o un’amministrazione pubblica elefantiaca e con discutibile produttività. Palermo dalle periferie abbandonate, dalle scuole in grandi difficoltà, dai trasporti in condizioni talmente gravi dal riderne per non piangerne.
Palermo grottesca e gattopardesca, che cambia sempre tutto per non cambiare nulla. Rimanendo il paesaggio più adatto al cinico e alla TV. Palermo terribile, dove la mafia sembra sconfitta ma non lo è affatto.
Palermo senza futuro per i giovani, che vanno via in massa a cercare lavoro e fortuna altrove. Palermo in ginocchio, pronta a dare il voto a chi promette il posto, pronta a prostrarsi per un piatto di lenticchie o di pasta. Palermo di umane giustizie e di umane ingiustizie. Palermo Human, quale umanità tagliata in mezzo e cancellata, disumanizzata, abbufalata, rincitrullita, come nella rappresentazione a spettacolo di Marco Baliani e Lella Costa, in questi giorni al Teatro Biondo di Palermo stessa.
Palermo senza speranza, eternamente nei guai, eternamente “muru cu muru c’u spitali”. Palermo con il ferro fuori e l’acqua dentro. Palermo calati iunco che passa la tempesta. E la tempesta sembra non passare mai.
Una Palermo dove manca il pane ma ci sarebbero le brioche. L’amministrazione Orlando ha fatto tanto per la cultura, anche con successo. Ha fatto per la passeggiata e la camminata, persino per la bicicletta e la mangiata, ma non per la possibilità di espandere il lavoro. Eventi e città più godibile, ma la realtà è spesso quella che “senza soldi non si canta messa”.
Eppure i soldi ci sarebbero, a vedere grandi investimenti costosi e di dubbio rientro economico come il tram. Che sembra la Napoli-Portici del XXI secolo: forse all’avanguardia, forse tecnologicamente apprezzabile, ma che appare una cosa di facciata più che di sostanza. Una costosa ciliegina sulla torta, ma senza torta.
Palermo che ha il fumo ma non l’arrosto. E i problemi ci sono sempre, sempiterni, eterni: una Palermo sempre nei guai. Palermo come la Palermo calcio tra gli ultimi in classifica: che non trova un interesse comune nemmeno intorno alla squadra del cuore. Palermo tra gli ultimi posti, nella vivibilità come nell’orgoglio della bandiera e nello sport.
E di questi guai si dà la colpa “alla politica”. Anche qui, come nel resto d’Italia, si cerca “l’uomo forte”, il condottiero, la personalità. Si vive intorno ai singoli personaggi, per cantarli o decantarli, per sostenerli o combatterli. Che siano nostrani o d’altre terre.
E si lascia da parte la Politica, quella con la P maiuscola: la Politica dei programmi e delle idee, dell’amministrazione e delle strategie, del compromesso quando è necessario nell’interesse comune.
La Politica quale proposta, scelta, dibattito interno ed esterno a partiti e movimenti, politica quale tavolo di lavoro. Politica che metta la faccia, che metta la propria storia di partito o di idee per incidere nella realtà quotidiana e nella costruzione del futuro, magari rischiando di prendere bastonate ma di prenderle con identità e dignità. Giocando un campionato magari perdente, ma onorando i colori rosa e nero della vita.
Così, in vista delle elezioni comunali, per scegliere il sindaco e una politica di vero sviluppo, manca proprio la politica.
Mancano gli schieramenti aggregatori intorno a un’idea. Ma abbondano i candidati. Sarebbero al momento almeno sette e nessuno con un partito, se si eccettua quello del Movimento Cinque Stelle che non si autodefinisce partito.
E che, soprattutto a Palermo, è dilaniato da lotte interne e con un candidato senza squadra di lavoro e senza programma. Scelto bene come persona, ma con un numero risibile di voti pari a quelli esprimibili in un’assemblea di condominio o poco più.
A Palermo ci sono tanti guai e tra questi ce n’è uno che rappresenta un guaio anche per la democrazia: la mancanza di politica. In cambio, c’è tanto altro.