18 Novembre 2024

11 thoughts on “Dalla Napoli-Portici all’arretratezza del Regno borbonico

  1. Fra amici che si stimano e che sono molto spesso d’accordo, ogni tanto può – anzi statisticamente “non può che”- succedere che la si pensi in modo diverso. E finalmente, dopo tante volte in cui con Pasquale Hamel l’abbiamo pensata allo stesso modo, è successo. Dire che il Regno delle Due Sicilie “era arretrato perché non espanse la rete ferroviaria” è a mio avviso fuorviante. Innanzitutto, il fatto che sia stato il primo stato italiano a impiantare una linea ferroviaria qualcosa vorrà pur dire; e inoltre viene facile supporre che la mancata ulteriore espansione sia da collegare elle vicissitudini politiche degli anni successivi che possono avere distolto dallo spingere in quel settore. Ma il fatto è un altro: la rete ferroviaria è solo un indicatore, certamente non l’unico, né tantomeno il principale, del progresso industriale e tecnologico di uno stato. E’ il complessivo che va guardato… e in ciò soccorre l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, in cui il Regno borbonico risultò essere lo Stato più industrializzato d’Italia e il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia; e lo stato che possedeva una flotta mercantile al secondo posto a livello europeo, e una militare al terzo (Ressa- Grasso, 2003). Mi piace ricordare, a proposito di industria, le ferriere di Mongiana. Arrivò ad avere circa 1500 addetti. Con l’unità d’Italia arrivò la chiusura, “perché le acciaierie andavano fatte in pianura”. Ma vennero realizzate a Terni, che in pianura non è. Gli operai di Mngiana si dissero pronti a lavorare a salari ridotti, ma non ci fu niente da fare. A qualcuno conveniva così. E i terreni e le foreste vennero messi all’asta – che fu vinta, per la cronaca, da un ex garibaldino.
    Quella dell’unificazione dell’italia fu una vicenda in cui si intrecciarono ideali grandi e veri, ma anche forti appetiti nei confronti di un regno che faceva gola anche per l’oro che aveva in cassa.
    Stati importo di lire-oro
    Regno delle Due Sicilie 443, 2
    Stato Pontificio 90,6
    Granducato di Toscana 84,2
    Regno di Sardegna 27
    Lombardia e Veneto* 20,8
    Ducato di Parma 1,2
    Ducato di Modena 0,4

    1. Il tema che ho posto, caro Carlo, era proprio quello delle ferrovie che, nell’ottocento, costituiva lo strumento principe per favorire l’industrializzazione. In quanto al tesoro, è vero quanto scrivi, ma questi dati sono un’aggravante, visto che piuttosto che investire per ammodernare si tendeva alla tesaurizzazione. Per quanto riguarda le eccellenze citate, tutto vero, solo che riguardavano aree ben limitate e, in taluni casi, sovradimensionate rispetto alle capacità territoriali. Il Piemonte, dalla sua aveva investito in tutti i settori recuperando i gap che l’avevano nel passato penalizzato. Aveva anche investito in cultura, fattore fondamentale per lo sviluppo, tanto che agli albori dell’unità mentre il regno meridionale registrava un tasso di analfabetismo che sfiorava il 90% in Piemonte, negli stesso periodo, la percentuali di analfabeti non arrivava al 60%.

  2. Buona sera, mi dispiace ma devo contraddire l’autore dell’articolo,non voglio fare del banale e volgare campanilismo,ma per fare onore alla verita’ storica:evidentemente il Signor Hamel come la stragrande maggioranza della popolazione e vittima della disinformazione storica portata avanti dalle classi dominanti attraverso atenei,universita’ e tutte le centrali del potere che gestiscono da piu’ di 150anni questo paese dall’unita’ d’Italia.Incominciamo dicendo che la Sicilia era il granaio del regno borbonico come lo e’ sempre stata dai tempi di Roma,possedeva una forte marineria insieme a quella di Napoli,tanto da essere stata una nave siciliana la prima in Europa a fare la tratta diretta con New York:la ricchezza nazionale del regno borbonico era superiore a 4 volte quelle di qualsiasi stato italiano e fra I piu ricchi d’Europa:dalla fine del 1700fino all’unita d’Italia le capitali economiche e culturali erano tre:Vienna,Parigi,Napoli(non certo il piemonte o altre zone del nord dove la stragrande maggioranza della gente erano trattati da SEMISCHIAVI mugnai e lavoratori della terra peggio della russia zarista!
    Ritornando al fattore economico il fiore all’occhiello della Sicilia era rappresentata da una risorsa strategica:LO ZOLFO:I prodotti solfiferi erano utilizzati per la produzione di SOSTANZE CHIMICHE,COME CONSERVANTI,ESPLOSIVI E FERTILIZZANTI.LO ZOLFO ERA IL LUBRIFICANTE DEL CAPITALISMO.La Sicilia ne possedeva piu di 450 miniere di zolfo che coprivano il90% della produzione mondiale.Come poteva l’isola essere ignorata dagli interessi dell’impero inglese?la Sicilia diventa un importante obiettivo strategico,un ASSET GEOPOLITICAMENTE E GEOECONOMICAMENTE CRUCIALE.Sia la marina siciliana che napoletana erano diventate delle temibilissime concorrenti della flotta inglese.
    E ovvio che quando si parla di questo argomento abbastanza complesso non si puo’ non raccontare quale fosse il vero ruolo di un certo Garibaldi:la figura di Garibaldi non e’stata ne di Super uomo ne tanto meno di eroe,lasciamo agli affabulatori e menzogneri I raccontini sull’eroe dei due mondi.Ricordiamoci che Garibaldi venne scelto da Londra perche’ si era reso gia utile agli inglesi,quando l’impero britannico tramite l’Uruguay favorirono l’indipendenza della provincia brasiliana di Rio grande do sul dell’impero brasiliano:il suo ruolo fu di sconvolgere l’economia dei villaggi brasiliani bruciare I raccolti e razziare il bestiame.Il compito di Garibaldi rientrava nella politica di intervento coloniale inglese nel continente latiboamericano,insomma possiamo tranquillamente affermare che era una sorta di ALBAGDADI DEL 1800,UN MERCENARIO DI PRIMISSIMO LIVELLO.
    CORDIALI SALUTI
    Alberto Mezzano

  3. Di ciò che è stato, e di cio che eravamo, più o meno colti o più o meno retrogradi, la storia ci viene raccontata in modo fuorviante, come se il meridione fosse stato liberato dallo straniero. Come è avvenuto nel mondo intero con le continue modificazioni dell’atlante geopolitico, si è trattato di una vera e propria occupazione di un regno sovrano..

  4. A proposito della situazione delle ferrovie negli Stati preunitari, e per sfatare ulteriormente il mito che la sola lunghezza della rete possa essere un indicatore dello sviluppo economico, giova ricordare altri due fattori. Il primo è l’opera essenziale svolta dalla fitta rete di navigazione di piccolo cabotaggio che univa i porti del Regno delle Due Sicilie, e rendeva non urgentissima la costruzione di una rete ferroviaria (che si stava comunque lentamente realizzando). Il secondo è la ben differente situazione orografica delle Due Sicilie, attraversate per intero dalla catena appenninica, rispetto ad altre regioni italiane dove le ferrovie ante 1860 si svilupparono prevalentemente in pianura, come la Toscana, il Piemonte ed il Lombardo-Veneto. Infatti, da un lato la tecnica di costruzione delle gallerie ferroviarie prima del 1860 non consentiva ancora i lunghi trafori che si sarebbero invece realizzati negli anni successivi, e dall’altro i costi di costruzione ferroviaria su terreno collinoso erano molto elevati (e lo sono tuttora). Infatti, ad esempio, la ferrovia appenninica da Napoli alla Puglia, che prevedeva notevoli opere ingegneristiche, era già interamente progettata e ne erano iniziati i lavori di costruzione al momento dell’unificazione. In seguito fu infatti completata in pochi anni (dal 1862 al 1870) seguendo pedissequamente il precedente progetto borbonico.

  5. Ho letto con interesse l’articolo e, con tutto il rispetto, lo trovo troppo sintetico e lacunoso delle fonti a sostegno delle tesi sostenute.
    Lungi da me dal voler decantare un regno florido, trovo però ingiusto definire il Regno delle Due Sicilie arretrato.
    Invito l’autore e chiunque ne avesse voglia a dare un’occhiata all’articolo redatto dal sottoscritto sul sito “Riscrivere la Storia”. Trattasi di un’analisi priva di preconcetti, che evidenzia eccellenze e lacune del Regno in questione. Il tutto illustrato attraverso alcune fonti affidabili.
    http://www.riscriverelastoria.com/2017/01/era-un-sud-agricolo-e-arretrato-parte-i.html

    Saluti!

  6. Carlo Barbieri si è fatto ingannare da alcune fandonie diffuse in rete. All’Esposizione Universale di Parigi, che si tenne nel 1855 e non nel 1856, il Regno delle Due Sicilie non ottenne alcun riconoscimento per l’ottima ragione che non vi partecipò neppure, come è possibile accertare attraverso le pubblicazioni ufficiali. A Parigi furono presenti in tutto sei espositori meridionali (quattro napoletani e due siciliani), che vi andarono a proprie spese, a titolo personale e furono ospitati nel padiglione degli Stati Pontifici.
    In ogni caso, è sufficiente controllare i dati relativi all’industria tessile, alla produzione di ghisa, all’industria chimica per rendersi conto che il regno borbonico era lontanissimo da paesi come il Belgio, gli Stati tedeschi, l’impero austro-ungarico.
    I dati di Ressa sono completamente sbagliati, come il suo testo che è zeppo di errori: io personalmente gliene ho contestati cinque in una sola pagina. La flotta mercantile ovviamente non poteva essere al secondo posto in Europa (chi avrebbe scavalcato,la Francia o l?Inghilterra ?) ed era composta in buona parte da imbarcazioni di tonnellaggio modesto. Egualmente infondata è la “classifica” della marina militare. Un buon punto di partenza per un’informazione corretta sul tema è l’articolo di Alida Clemente, La marina mercantile napoletana dalla Restaurazione all’Unità, in Storia economica, anno XIV, 2011, n. 2, pp. 207-246.

  7. Con tutto il rispetto questa è pura retorica anti borbonica. Il secolo XIX fu caratterizzato dal dominio coloniale delle MARINERIE inglesi e francesi, ed il RD Sicilie era gestito da economisti OCULATI che investirono molto nella marineria mercantile (visto che il sud è praticamente circondato dal mare e diviso in due, verticalmente, dagli Appennini). La marineria Duosiciliana, per numero di navi e di addetti era seconda solo all’Inghilterra, ed il traffico mercantile, che si sviluppava da e per tutti i porti e porticciuoli del sud italia, generava , all’atto dell’unita, un fatturato di oltre 300 MILIONI di ducati, con una rendita rispetto al capitale investito (160 Milioni) del 220%. Le ferrovie piemontesi, di contro, producevano solo lo 0.3% e cosa ancor piu grave furono realizzate a DEBITO…che poi pagarono per i successivi 40 anni tutti i cittadini ormai “italiani”. E “l’illuminato Cavour” aveva portato il Regno di sardegna sull’orlo della bancarotta…! RACCONTIAMOLA TUTTA LA STORIA!!!

    1. Con tutto il rispetto, a me questo intervento pare pura propaganda neoborbonica. Pur accogliendo le cifre fornite da Michele, mi riesce difficile comprendere come un fatturato (non un utile) di 300 milioni possa fruttare una rendita del 220% rispetto ad un capitale investito di 160 milioni. Sulle ferrovie piemontesi sarebbe utile che Michele fornisse qualche altro dato per valutare l’attendibilità delle cifre da lui fornite (se davvero il “prodotto” fosse pari allo 0,3% dell’investimento, risultando nel 1858 il prodotto pari a L. 12.858.392,30 – Giornale delle strade ferrate, 20-11-1858, n. 22, p. 339 – , calcoli l’eventuale lettore l’enorme ammontare in miliardi dell’investimento risultante).
      Quanto alla flotta mercantile del Regno delle Due Sicilie, ecco i dati relativi alle tre principali marine preunitarie nel 1858: Regno di Sardegna: bastimenti 2908, tonnellaggio 208.218; Venezia e Trieste, bastimenti 3.351, tonnellaggio 350.899; Regno delle Due Sicilie, bastimenti 11.052, tonnellaggio 272.305. Come si vede la marineria borbonica era prima per numero di imbarcazioni ma seconda per tonnellaggio e addirittura terza per tonnellaggio medio poiché oltre 6000 imbarcazioni avevano una stazza inferiore alle 10 tonnellate. Quanto alla classifica europea, la flotta inglese aveva 4.669.000 tonnellate di stazza, quella francese 1.011.000, quella tedesca 808.000. Come faccia quella del regno delle Due Sicilie a risultare seconda, è un piccolo mistero.
      E infine, in Sicilia la carenza di strade rotabili – altro che ferrovie! – faceva sì che, per fare un solo esempio, il prezzo di un cantajo di zolfo estratto a Riesi passasse da tarì 3.16 “a bocca di cava” a tarì 6.9 al porto d’imbarco. Di fronte a queste cifre, l’uso smodato delle maiuscole serve a poco.

  8. Con tutto il rispetto, a me questo intervento pare pura propaganda neoborbonica. Pur accogliendo le cifre fornite da Michele, mi riesce difficile comprendere come un fatturato (non un utile) di 300 milioni possa fruttare una rendita del 220% rispetto ad un capitale investito di 160 milioni. Sulle ferrovie piemontesi sarebbe utile che Michele fornisse qualche altro dato per valutare l’attendibilità delle cifre da lui fornite (se davvero il loro “prodotto” fosse stato pari allo 0,3% dell’investimento, risultando nel 1858 il prodotto pari a L. 12.858.392,30 – Giornale delle strade ferrate, 20-11-1858, n. 22, p. 339 –, calcoli l’eventuale lettore il preteso ed enorme ammontare in miliardi dell’investimento).
    Quanto alla flotta mercantile del Regno delle Due Sicilie, ecco i dati relativi alle tre principali marine preunitarie nel 1858: Regno di Sardegna: bastimenti 2908, tonnellaggio 208.218; Venezia e Trieste, bastimenti 3.351, tonnellaggio 350.899; Regno delle Due Sicilie, bastimenti 11.052, tonnellaggio 272.305. Come si vede la marineria borbonica era prima per numero di imbarcazioni ma seconda per tonnellaggio e addirittura terza per tonnellaggio medio poiché oltre 6000 imbarcazioni avevano una stazza inferiore alle 10 tonnellate. Quanto alla classifica europea, la flotta inglese aveva 4.669.000 tonnellate di stazza, quella francese 1.011.000, quella tedesca 808.000. Come faccia quella del regno delle Due Sicilie a risultare seconda, è un piccolo mistero.
    E infine, la carenza di strade rotabili – altro che ferrovie! – faceva sì che, per fare un solo esempio, il prezzo di un cantajo di zolfo estratto a Riesi passasse da tarì 3.16 “a bocca di cava” a tarì 6.9 al porto d’imbarco. Di fronte a queste cifre, l’uso smodato delle maiuscole serve a poco.

  9. Se ben ricordo la storia della famosa e tanto decantata prima ferrovia d’Italia di Portici(peraltro costruita con materiale ferroviario inglese), essa era parte di un progetto piu’ ampio, poi abortito da Ferdinando II di Borbone (perche’ i neoborbonici non lo chiamano col suo appellativo del ’48, ovvero “Re Bomba”?). Perche abortita? Perchè i moti insurrezionali del 48′, gli stessi per i quali il “Re Bomba” aveva rilasciato una costituzione, subito rimangiata, e bombardato dal mare Messina (che voleva soltanto mantenerla, quella costituzione..), avevano fatto intuire al sovrano divenuto ombroso ed ultraconservatore che il treno poteva divenire strumento utile ai rivoltosi. Oltre che alle scampagnate di una Napoli ricca si, ma a dispetto del resto del Regno, che viveva di una agricoltura comunque arretrata. Dal ’48 il “Re Bomba”, a quel che ricordo dalla storia, non fu più amato dal suo popolo. Come possa esserci una nostalgia postuma di quel “dorato” periodo storico del Sud resta per me misterioso. Ma del resto ci sono nostalgici di personaggi storici ben più inquietanti.
    Se comunque la famosa prima ferrovia fosse così importante per i neoborbonici, anche solo simbolicamente, non capisco come la sua stazione di Napoli possa al momento essere un fatiscente rudere invaso dalle erbacce e dai graffiti, anzichè essere curato dai napoletani come parte importante della propria storia. Sarà colpa dei piemontesi anche questo?

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