di Gabriele Bonafede
La frase “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” è attribuita da alcuni a Ernesto Che Guevara e da altri a Bertolt Brecht. Ma potrebbe essere anche più antica. Di chiunque sia originariamente, ben si addice a tante situazioni, politiche o meno. E si adatta molto bene al PD di Palermo in vista delle imminenti elezioni comunali per la scelta del Sindaco e della composizione politica del consiglio comunale.
Schiacciato da candidature considerate troppo forti in città, il PD della quinta città d’Italia appare come obnubilato dalla paura di una sconfitta. Senza considerare l’incombente forza elettorale dei Cinque Stelle, sia pure in un contesto di lotta interna tra pentastellati siciliani (e palermitani in particolare) che sta letteralmente dilaniando il movimento di Grillo. Realmente e virtualmente, persino nei social.
Il fatto è che i candidati “papabili” per un sostegno “da centrosinistra”, ovvero Orlando o Ferrandelli, non vogliono che ci sia il simbolo del PD tra i loro sostenitori. I democratici palermitani devono dunque decidere su un dilemma da dramma shakespeariano: essere o non essere.
A questo proposito, Angelo Argento, siciliano della segreteria nazionale PD, precisa: “Le elezioni amministrative per eleggere il sindaco di Palermo, della quinta città di Italia, della ‘Capitale’ della Sicilia, non possono non vedere presente il Partito Democratico con il suo simbolo. Accettare un diktat cosi offensivo della dignità dei democratici sarebbe una sconfitta di per se inaccettabile.” E ha richiamato la citata frase chebertoltesca: “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso.”
Debole in città da quando Achille Occhetto calò in Sicilia e mai più ripresosi dalla morte del compianto Pio La Torre (1982) ad oggi, la sinistra palermitana (che all’epoca poteva ancora riferirsi a Che Guevara) è stata spazzata via o per lo meno ridotta di molto. Con una gran parte che è stata inglobata tra le fila degli “orlandiani”, soprattutto nella sua ala teoricamente più estrema, ma in realtà più “salottiera” o, come si direbbe in Francia, più “bo-bo”. Da lungo tempo i quartieri popolari di Palermo sono serbatoio elettorale di altre formazioni politiche, sociali e di potere. Legale o meno.
Nei fatti, Orlando, che alle ultime elezioni (2012) ha raccolto un ennesimo plebiscito nella sua città, proviene dalle fila della Dc. E non necessariamente da quella Dc che dialogava con il Pci di allora. Anzi, più volte, e fino a cinque minuti fa, ha attaccato il percorso Pci-Pds-PD non solo a Palermo.
E i furiosi plebisciti raccolti da Orlando hanno sempre compreso la cosiddetta “Palermo bene”. Quella sempiterna Palermo, gattopardesca e propensa all’“autodeificazione”, che ha per motto la nota frase di Tomasi di Lampedusa. La “Palermo bene” sa bene, quindi, su come darsi da fare a cambiare tutto per non cambiare nulla.
Insomma, la camola, che in palermitano vuol dire ruggine e seccatura al tempo stesso, ha riprodotto se stessa indefinitamente, gattopardianamente, irredimibilmente, testardamente, storicamente. Per lunghi decenni. E tutto ciò di fronte ai gattini ciechi della sinistra, più o meno portata verso il centro.
Sarebbe il caso di aprire finalmente gli occhi? E magari perdere ma con dignità? La cosa, in effetti è avvenuta in passato. Anni addietro, il centrosinistra portò più candidati che furono successivamente e invariabilmente sconfitti, e per giunta non solo contro Orlando ma anche contro altri. Almeno in teoria. In pratica non si sa bene ancora oggi, come in tante altre faccende palermitane, chi ci fosse dietro candidati di centrodestra. Magari c’era qualche puparo e persino qualche pupo.
Fin qui un poco di citazioni e di storia da Bignami politico palermitano.
Andiamo alle cose pratiche.
Nella vastità dei problemi reali di Palermo, a conti fatti, Orlando ha avuto non pochi successi. Spesso di facciata e di propaganda, fatta sempre molto bene o molto “bo-bo”, ma anche di realtà. La Palermo di oggi non è certamente quella del 1982, quando ci si dava gli appuntamenti nei punti in cui si contavano i morti e una cappa di lugubre anormalità pesava su una città di seicentomila abitanti e più. L’anormalità rimane, eppur qualcosa si è mossa. Magari a traino dell’Italia e dell’Europa, più che di Orlando, ma si è mossa.
Dall’altro lato, la mafia, nonostante molte vittorie dell’antimafia (compresa quella sociale), non è per nulla debellata. Semmai si è trasformata, modernizzata, evoluta. Kafkianamente, se è il caso.
E tuttavia, la Palermo di oggi è scesa nuovamente negli inferi della crisi economica più nera dalla seconda guerra mondiale in poi. Forse se la città non fosse stata così “a traino”, se avesse avuto una sua endogena vitalità economica oltre che culturale, la crisi ci sarebbe stata ma meno grave.
Cosicché gli atavici problemi economici e sociali sono sempre lì, gli stessi. Quantunque ci si viva molto meglio, ed esistano persino un tram tutto nuovo e tante piste ciclabili sia pure pittate sui marciapiedi, Palermo è rimasta al palo. Indebolita l’economia europea, si è indebolita anche Palermo.
Insomma, in questi decenni di sempiterno gattopardismo Palermo è migliorata, forse persino nell’ultimo, furioso, mandato di Orlando. Nel marketing e in qualche cosa concreta, pure terra-terra, il “paladino” ha fatto molto per Palermo, non c’è dubbio. Ma ha anche cristallizzato la politica della sua città nel suo nome, senza cambiare realmente l’autolesionista e irredimibile anima sociale ed economica della Conca d’Oro e annessi. Adesso, autolesionisticamente e con un grande cumulo di irresponsabilità e ingratitudine, ci sono larghi pezzi della società palermitana che vanno appresso all’antieuropeismo più abbufalato che mai.
Il terreno di battaglia per un reale cambiamento, per un vero progetto di sviluppo di Palermo per Palermo, è insomma ancora e tuttavia aperto. E il PD, per molti militanti, ha una sola strada: dare battaglia con onore, ed eventualmente utilizzare il proprio peso all’occorrenza. Magari per perdere, sì. Ma a determinate condizioni: quelle del proprio progetto di sviluppo. E, soprattutto, per ricostruire Palermo nella realtà delle cose. Storicamente.