di Gabriele Bonafede
In un mondo tanto armato quanto disarmante, che considera quasi con banalità stragi e genocidi, che volta le spalle ai massacri in Siria e altrove, torna in scena, al Teatro Biondo di Palermo, un testo caro al direttore, Roberto Alajmo, e scritto da lui stesso. Almanacco siciliano delle morti presunte fu pubblicato negli anni ’90 dalle Edizioni della Battaglia e riedito nel 2013 da il Palindromo. Sono passati almeno due decenni dalla sua prima pubblicazione e scuote il lettore, e lo spettatore, ancora oggi. Soprattutto oggi.
Ieri la prima, alla sala Strehler con Vincenzo Pirrotta regista e attore principale, testo e scena hanno confermato l’impatto: il rinnovamento di un ricordo che va fatto. Senza sconti e riportandoci su un orizzonte mediterraneo che oggi è semplicemente raccapricciante al di qua e al di là della mafia conosciuta.
Dato l’addio a un 2016 di morte e dolore, il tema è quanto mai attuale. Con grande ottimismo, si spera che il 2017 non sia un anno di morte, o almeno lo sia meno dello sciagurato numero precedente.
Perché poi un anno è solo un numero nel corso del tempo. Che ci siamo inventati noi. Come sono state “inventate” le morti per omicidio: le hanno commesse gli uomini. Non sono come una pioggia inevitabile, sono un fatto commesso. Guerra, bombe e lupara, strangolamenti e pistolettate in fronte, sono crimini commessi: oggi come ieri, forse più di ieri.
Le morti dell’Almanacco siciliano sono quelle dei crimini efferati, delle stragi note e meno note nella Palermo e nella Sicilia mafiosa. Sono atti di uomini contro uomini, non sono presunte, sono realtà. Anche se la realtà di oggi, come quella di ieri, è stata e continua ad essere manovrata, manipolata, abbufalata.
Presunti sono gli ultimi pensieri delle vittime. Nell’Almanacco siciliano di Alajmo questi pensieri sono raccontati in parte in soggettiva, in parte come se fosse un cronista a riferirli. Ma sempre in poche parole intime e quindi più drammatiche.
Partono da una data in cui in molti ancora sostenevano, se non l’inesistenza, l’ineluttabilità della mafia: per alcuni le morti erano “presunte”, come se non ci fossero. In una società che “mangiava e faceva mangiare”, con i morti a latere. Eccellenti o meno.
La morte di un parroco oggi Beato, che viveva e operava a Brancaccio vicino al Castello di Maredolce, è forse quella che più di tutte lascia con la mascella sul tavolo:
“quindici nove novantatré”
“Era il suo compleanno e l’aveva festeggiato con pochi amici e parrocchiani. Poi aveva fatto una telefonata da una cabina pubblica e si era avviato verso casa che era già tardi. Davanti al portone, un tizio gli mise la mano sul borsello e lo strattonò: – Questa è una rapina. Lui si voltò e fece una specie di sorriso: – Me l’aspettavo.”
Per noi palermitani cresciuti e diventati adulti in quei terribili anni ’80 e ’90 del secolo scorso, il coinvolgimento è spaventoso: ci guardiamo indietro e vediamo come era stata ridotta in cimitero la nostra città. Qualcuno, come il sottoscritto, ha visto e ripercorso l’addio a persone vicine, che sono state a casa mia quando ero ragazzino. Non escludo che sia arrivato un personale sentore di lacrima, ingrossata dal pianto cittadino.
Lavorando in trio, con due attrici che emozionano e sbalzano il testo (Elisa Lucarelli e Cinzia Maccagnano), Vincenzo Pirrotta utilizza molto il corpo, l’aspetto fisico, la voce. E si dispone nudo, fino al simbolo della croce sollevata su un fiume di sangue.
Così che l’almanacco diventi a un tempo corpo, voce e nenia della morte. Componendo una vera e propria cerimonia collettiva di commiato, in un crescendo che non pone l’accento esclusivamente sugli eroi che tutti ricordiamo, ma su tutte le vittime di mafia. Che purtroppo sono molte, troppe. Come diceva Eduardo in una delle sue pièce: sono troppe le morti, perché sono nella coscienza o, meglio, nella mancata individuazione di una coscienza e nella mancanza di una fiducia tra chi potrebbe invece averla.
La mafia, come nelle “Voci di dentro” di Eduardo, ha ucciso innanzitutto spandendo la mancanza di fiducia in noi stessi e nelle istituzioni. O la fiducia nel proprio impegno sociale, quali religiosi di una religione, o religiosi di una missione civica. Quali uomini e donne qualsiasi con o senza impegno. La mafia e le bufale si sovrappongono, ma rimane la realtà, tutta inchiappata di sangue.
Almanacco siciliano di Roberto Alajmo
Regia Vincenzo Pirrotta, musiche Marco Betta e Fratelli Mancuso, con Elisa Lucarelli, Cinzia Maccagnano, Vincenzo Pirrotta, scene Claudio La Fata, costumi Vincenzo Pirrotta, luci Nino Annaloro, direttore dell’allestimento scenico Antonino Ficarra, produzione Teatro Biondo Palermo.