di Mila Spicola
Ieri sera c’è stato l’incontro del mio circolo, il circolo libertà a Palermo. Finalmente ho potuto esserci e devo dire ho vissuto un’intima emozione, il mio lavorare a Roma non mi ha fatto conciliare la presenza, anche se ho cercato di mantenere vivo il rapporto col segretario del mio circolo. Forse non altrettanto vivo come quello intessuto in questi ultimi anni, mesi, con le associazioni e con mondi vari che operano nella mia città.
È stato forse un modo inconscio per tornare a sentirmi più “società civile” che politica, per quel che riguarda la politica cittadina. Me ne faccio un torto, non un vanto e chiedo scusa a me stessa prima che ad altri. Chiedo scusa al mio segretario di circolo, Enrico Napoli, e al mio segretario cittadino, Carmelo Miceli, al segretario regionale Fausto Raciti, ai miei compagni di partito. Non ci sono stata. Credevo che operare sia nella direzione nazionale, sia nel governo nazionale fosse il mio modo di contribuire alla mia terra.
E certo qualcosina, pur da dietro una scrivania, l’abbiamo portata per questa terra e per questa città. Ma non basta, perché si deve qualcosa a se stessi oltre che agli altri. Perché ieri sera ho ritrovato una me stessa con cui non facevo i conti per mancanza di onestà. Quella che sta bene nella sua città, quella che sta bene nel suo partito cittadino, quella che sta bene nel discutere dal vivo di Politica e di politiche nel posto dove deve farlo e dove lo aveva fatto iniziando: nel suo circolo.
Detto ciò vado alla mia riflessione sull’incontro di ieri: è stato un bel confronto, abbastanza chiaro, dai toni diretti ma mai alterati. Il tema era quello delle prossime amministrative a Palermo, ma sappiamo bene che non è un temino da test d’ingresso, è un temone da fine primo quadrimestre, per usare un lessico che mi è familiare, è un temone che recherà con se effetti importanti sia sulle regionali, perché, anche se sono voti e contesti politici diversi, il primo misurerà la tenuta del partito, la capacità di darsi metodo e organizzazione. Sia sulle elezioni politiche nazionali.
Eravamo tutti consci di questo ieri sera. Andiamo al punto e al nocciolo della questione: Orlando. Ve lo dico subito, non mi appassiona il tema. Anche se su Orlando qualcosa la dirò più avanti. Vorrei soffermarmi su quello che io credo profondamente: non mi appassionano le dispute sui nomi, le candidature, le elezioni in se come affermazione di quello o di questo, come non mi han mai appassionato, del resto ne son la prova mi pare.
In dieci anni non mi son mai candidata, se non una volta come riempi lista. Sono una donna di partito, coscientemente e con decisione. Quello che mi interessa è che vorrei offrissimo, come PD, a questa città meravigliosa qualcosa di più: un programma e un metodo di costruzione di un programma, che sia finalizzato non a un’elezione, ma a quello che ci sarà dal giorno dopo l’elezione, cioè il governo della città. Chiunque vinca, e sarà comunque un profilo tirato fuori dal campo largo del centro sinistra cittadino.
La Politica è quello che c’è tra due elezioni e che si compie a fini non elettorali. Siamo capaci di farla? Secondo me si. Unendo tutte le forze che in questi anni hanno operato in modo incessante ma, possiamo dirlo? Poco organizzato o quanto meno, in ordine sparso, non coordinato, intanto dentro il partito: da un lato il gruppo comunale, dall’altra le direzioni provinciali, dall’altra i circoli, dall’altra i consiglieri di circoscrizione, e via dicendo.
Sarebbe bello, oltre che utile, agire come in un’orchestra, con uno spartito unico e condiviso. Un programma; ci dicevamo con alcuni: il problema non è il programma, si scrive in un giorno, ne abbiamo mille di programmi. Il programma diventa un programma se viene condiviso, se viene partecipato, se viene costruito o accettato o emendato con metodo dentro il partito dagli iscritti e dai dirigenti, dai circoli e dagli eletti.
Ma non basta. Il programma diventa un programma se viene partecipato con i settori vitali della città, e a Palermo non sono solo le forze intellettuali e competenti delle mille teste pensanti che abbiamo in più settori della nostra classe dirigente, politica, universitaria, delle professioni, degli ordini; in realtà ci sono settori che in Questi anni hanno assunto ruoli chiave e imprescindibili: il terzo settore, l’associazionismo, il mondo del volontariato, il mondo cooperativo, le reti di scuole, l’università intesa anche come associazionismo studentesco, i settori sindacali che hanno seguito e seguono le vertenze più urgenti, i comitati civici, e potrei continuare, potreste continuare voi.
Con molti di loro ho intessuto in questi anni rapporti sempre più vivi e ho avuto modo di capire come partecipano a pieno titolo alla vita politica della città, non solo alla soluzione dei problemi che via via si trovano ad affrontare, sono mondi che attraversano la città in modo globale e trasversale, senza focalizzare o privilegiare settori sociali o culturali. Dal centro alle periferie. Fare politica, dice una persona a me molto cara, significa mettere le persone intorno a un tavolo per far mediare a loro interessi legittimi e spesso contrastanti. E loro lo fanno.
Ecco, fare un programma e costruire un metodo significa dare forza a tutti gli organismi e a tutti gli iscritti del mio partito e dare protagonismo politico e sponda a tutto il mondo di cui sopra, trovando una modalità per organizzare e mettere a sistema, mediandoli in diversi contributi e in ruoli di protagonismo da creare e pensare. Per metterli intorno a un tavolo. Che non si esaurisca però il giorno del voto ma che si trovi la modalità di portarlo avanti, il metodo prima che il programma è insieme al programma, per tutto il tempo della sindacatura. Come dimostrano le recenti esperienze a Roma, a Torino e a Milano è un po’ una leggenda che si voti e si elegga un sindaco; si vince e si governa bene, e le cose non vanno automaticamente di pari passo, solo se accanto al nome si propone e si costruisce una capacità di coinvolgimento e di protagonismo nel governo della città di settori della città, non solo attraverso lor rappresentanti, ma attraverso proprio capacita di costruzione e partecipazione alle politiche attive.
Milano non ha votato Sala perché era Sala, ma perché assicurava la continuità con il metodo usato dalla giunta Pisapia, che era partecipazione attiva e di qualità alle politiche. Ecco cosa candido io per la mia città e cosa voglio candidi il mio partito: un programma, un metodo e un’organizzazione di governo. È un modo di fare Politica che focalizza l’obiettivo sulle politiche e sulla partecipazione alle politiche.
Su Orlando: ce l’ho con lui, è vero. Sono profondamente e definitivamente arrabbiata col mio sindaco per tanti motivi, ma soprattutto uno, l’aver fatto il solito errore. L’errore che compiono tutti non doveva e non può farlo un personaggio politico della sua statura, che gli riconosco per intero, e nella cui statura riconosco l’identità della mia città. Il suo errore è il Non aver dato modo di crescere e di valorizzare quella classe politica dirigente meravigliosa che lo aveva affiancato nei suoi primi anni, se li è mangiati. Su tutti Alessandra. Questa è la mia grande accusa, che rimane viva e intera perché non è stato un torto a quelle persone, è stato un torto alla città, a noi tutti. Come si è visto si può governare da soli, come lui ha fatto, ma si governa male.
Cioè, anche scelte importanti poi non trovano la giusta e adeguata cinghia di trasmissione se non c’è intorno una classe dirigente all’altezza che lavori e traduca in fatti efficaci ed efficienti le scelte. È un errore che compiono tutti. La differenza tra un ottimo politico e uno statista sta anche in questo, perché sono scelte di lungimiranza e di amore per i cittadini, non per se stessi. Oggi Orlando può rimediare. Non so se sarà il candidato che sosterrà il PD, o se il PD formulerà un altro candidato, sinceramente, per i motivi di cui sopra, mi interessa meno capirlo; ma sospetto che sarà nuovamente sindaco.
E allora questo io gli chiedo: costruisci e lascia con orgoglio a questa città una classe dirigente politica adeguata, che continui nel solco dell’Orlando migliore, per Palermo, e anche per il rimpianto per molti di noi, per qualcuno che non c’è più e che te lo chiederebbe con la stessa forza e con un sorriso indimenticato.
Questa è la mia lettera alla mia città, col mio proposito, lavorare per costruire quel che ho scritto , che ho sentito ieri è desiderio condiviso, con quanti vorranno esserci, nel mio partito e fuori dal mio partito. E ce lo siamo detti in modo diverso in tanti ieri.
I problemi ci sono e ci saranno, gli ostacoli saranno tanti, li affronteremo, con calma e con meno calma ci scorneremo, spero per le idee e non per le persone, ma auspico Non una politica per se stessi, nemmeno una politica per la politica, bensì una politica per le politiche. In questo senso io concepisco le amministrative. Una politica per il bene, il bene comune, ma un bene comune che va costruito e, soprattutto governato insieme, non delegato, dai protagonismi sociali, organizzati e convogliati, sennò la città sarà sempre distante e allo sfascio. È un monito al prossimo sindaco, Orlando o non Orlando. Questo è il Comune.
In copertina, Palermo vista da Monte Pellegrino. Foto di Gabriele Bonafede
Con Orlando, cara Mila, non si parla direttamente. Devi passare prima dai sacerdoti. Del resto, dopo un terzo di secolo a cavallo di due millenni, si diventa Dei. Ed è un Dio che ha inventato il grillismo prima di Grillo. Ed è un politico che alla debole sinistra palermitana ha sempre segato le gambe. Per me “è fuori “!
Altre due parole : non si elegge un Programma, si elegge un Sindaco. Da sempre, figurati oggi.
Bisogna avere un’idea chiara e definita dei problemi della città e su questa scegliere un nome che rappresenti il punto centrale.
Per me è il radicale cambiamento culturale e generazionale della nostra Palermo.
Sul documento presentato ieri dal circolo Libertà :
“No, io non credo che Orlando sia il candidato giusto per rinnovare la città. Trovo contraddittorio rivendicare all’interno del PD il diritto a una politica partecipata e poi scegliere chi come Orlando ha costruito un suo piedistallo allontanando compagni di strada vecchi e nuovi. Trovo contraddittorio rivendicare un ruolo al partito (e per questa ragione polemizzare con Ferrandelli) e poi scegliere Orlando che ha sempre teso a non riconoscere questo ruolo. Trovo contraddittorio esaltare il ruolo del partito come collettivo organizzato e poi uscire un documento pubblico prima della direzione provinciale.”
Inviato da Roberto Tagliavia