di Gabriele Bonafede
Rimangono impresse una serie di visioni, dopo aver assistito a “Le Serve” di Genet al Teatro Biondo di Palermo. Visioni, più che favole, più che incubi, più che sogni. I tre personaggi, Solange, Claire e Madame, in qualche modo riproducono una corsa contro se stesse. Insieme alle proprie proiezioni più ingiuste: tre donne travolte dal nefasto tourbillon della chimera terrena.
È un percorso ondivago della psiche. È un tuffo in un largo e profondo pozzo di disperazione, una delirante rincorsa di tre donne stravolte dal piccolo desiderio di potenza e dalla zavorra di una realtà che non è modificabile.
Dall’immodificabile emarginazione, nella quale Genet affondava sia le sue radici artistiche che l’esperienza di vita personale, al loop psicologico, si addensa un cammino che non può che comporre il dramma. È anche questo Le Serve: girare intorno a un movimento di flutti che non avranno mai fine, eppure c’è una fine.
È un attraversamento, un chapitre final del piccolo passaggio terreno della vita che arriva, se non nel tuffo mortale, nel catartico annullamento di tutto. Può essere inteso come una tragedia nella ricerca del “giusto” o, per lo meno, nella chiusura di un cerchio incompiuto. Genet visse un’infanzia ingiusta: da bambino e ragazzo fu vittima di ingiustizie, ahimè come molti in questo mondo. E si vede chiaramente in questa pièce, dove il limite tra attrazione verso il male e sete per il “bene” (necessariamente tra virgolette), traspare in crudezza.
Interpretare Genet, e soprattutto Le Serve, non è cosa da poco. E se riesce è un volo d’altura.
Riesce, con solido influsso, a tre attrici amate dal pubblico, affermate e al contempo innovative: Anna Bonaiuto (Solange), Manuela Mandracchia (Claire) e Vanessa Gravina (Madame), dirette da Giovanni Anfuso. L’apprezzamento del pubblico, alla prima come nelle repliche in questi giorni, in queste serate, al Teatro Biondo di Palermo, è altrettanto palese. Lunghi applausi non solo di approvazione, ma di emozione, di tensione. Come, probabilmente, avrebbe voluto Genet stesso.
Cercavamo una conferma? Forse. Incontrarci per un breve dialogo sul teatro, e su Genet e il suo “Le Serve” in particolare, ci è sembrato comunque logico, conseguenziale. Ed è Anna Bonaiuto a confermare una prima istanza “Come disse Sartre, questa commedia è un mulinello”, afferma. Che, in francese è proprio “tourbillon”, dicevamo. “Come recitare Genet è una domanda appropriata”, aggiunge Manuela Mandracchia, “e ci si accorge presto che ci sono tante belle teorie, ma poi è il corpo dell’attore che parla in maniera più forte: poi c’è la pratica del palcoscenico”.
“Quando si recita un grande autore le cose vanno in fondo, arrivano più in profondità: è un accadimento sull’attrice, le parole dell’autore creano esse stesse un lavoro più in profondità”, rimbalza Anna Bonaiuto. “Anche perché, continua, Genet ha scritto questo testo con la necessaria tragicommedia. Fornendo quel senso di falso e di menzogna così che le scene non esistano più e rimangano i rancori dei personaggi”.
Menzogna e falsità nella vita, nei personaggi, in una rappresentazione del teatro sul teatro, dunque. Non a caso “Madame è un personaggio che non ha nemmeno nome”, rilancia Vanessa Gravina. “Se le serve tendono ad essere come due psicopatiche, Madame è nevrotica: c’è un meccanismo di passaggi di velocità che è tipico delle nevrotiche. Lei è sommersa in fondo al pozzo, forse più delle altre”.
Come nel passaggio dalla sedicente bontà al peggior insulto, ovvero la disattenzione, la velata superbia verso le serve: il concedere regali materialmente ricchi e simbolici ma moralmente bassi, e pochi secondi dopo c’è l’incuria più devastante. “Ignorare tutto delle donne a servizio, come potrebbe essere con le badanti di oggi, è anche peggio di dare frustate o cose più eclatanti” nota Manuela Mandracchia: “è la vera schiavitù”.
“Ciò che più odiava Genet era la falsa bontà” aggiunge Anna Bonaiuto, “più che l’aspetto sociologico”.
Non posso che confermare. Evidenziando che, mentre assistevo alla prima, il regalo della pelliccia da parte della padrona alle serve, mi ha ricordato un passaggio fondamentale de “Il Maestro e Margherita”. “Vero, anche se non ci avevo pensato”, commenta Manuela Mandracchia.
Anche se, nel romanzo di Bulgakov, la risposta è profondamente diversa: la serva preferisce trasformarsi in strega anche lei, e così volare libera verso l’ignoto, sulla scopa volante. Perché in quel contesto è possibile.
“Qui c’è l’impossibilità a uscire dalla schiavitù”, confermano tutte e tre. “Solo con il teatro, semmai, quando le serve recitano per uscire dalla condizione reale. Come è del teatro,” aggiunge Anna Bonaiuto.
“E anche questo, in Le Serve, è un poco come camminare sul filo dell’equilibrista senza la rete sotto”, conclude Vanessa Gravina.
Potremmo parlare per ore, e forse lo abbiamo fatto. D’altronde, di Genet s’è parlato per decenni. Ma parlare del teatro è non è sufficiente. Molto meglio viverlo. A Teatro.
Le serve
di Jean Genet
traduzione Gioia Costa
regia Giovanni Anfuso
scene Alessandro Chiti
costumi Lucia Mariani
musiche Paolo Daniele
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Vanessa Gravina
produzione Teatro Biondo Palermo / Teatro e Società / Teatro Stabile di Catania
Al Teatro Biondo di Palermo, 25 novembre – 4 dicembre 2016.
Foto di Jean Jenet nel testo (1983), tratta da Wikipedia. By International Progress Organization – http://i-p-o.org/genet.htm, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8499473
Foto di scena di Tommaso Le Pera.