di Giovanni Rosciglione
Roma evoca Cesare e il Rubicone e, dunque, la politica di oggi: passando idealmente da Cesare a Renzi, sopra la sciagurata Capitale a Cinque Stelle.
Considero il Movimento 5 stelle e i suoi meccanismi organizzativi un pericolo per la democrazia: è una setta clanica, che come i clan ha come base selettiva e aggregativa il familismo e come gerarchia una sorta di totem virtuale.
Non ha un programma, non ha un’idea di governo, la cultura valoriale che professano è contraddittoria e spiritualistica. La classe dirigente che esprime è (con qualche eccezione) tanto mediocre quanto freneticamente invasata, ebbra del sogno del “giudizio universale” dei politici peccatori.
Mi ha inquietato il silenzio (con qualche eccezione) dei politologi da elzeviro che ha accolto le frasi del programmino recitato dalla Sindaca Virginia, che dichiaravano la volontà della sua Giunta di promuovere la cultura contro l’Occidente (l’occidentalismo dei kamikaze shintoisti e il fondamentalismo del Dahesh per capirci) e l’antropocentrismo, subculture di superstizioni e ignoranza, idea rubata a quel genio di Pecoraro Scanio.
Onestà, Onestà – il loro refrain – è un mantra feroce e oscuro, che sta finendo per travolgere loro stessi.
E la coprolalia dei loro slogan ha i toni fascisti che l’ingegnere Carlo Emilio Gadda avrebbe già svelato, come d’altro canto la loro psicologia segnala il non superamento della “fase anale”.
Ma invece il mio giudizio sui milioni di italiani che lo hanno votato non è egualmente negativo.
Se, infatti, con obiettività diamo un’occhiata allo spettacolo che hanno dato (e continuano a dare) di se i partiti tradizionali, dobbiamo ammettere che, in considerazione anche dell’evoluzione storica mondiale che ha cancellato (per fortuna) le vecchie ideologie, il successo di un movimento populista e ribellista, che riuscisse ad aggregare gli scontenti e gli avventurieri, era facilmente prevedibile.
Insomma, per i cittadini che continuano a votare Grilleggio sono decisivi gli innumerevoli, attuali casi di corruzione pubblica e privata e l’inconsistenza dei partiti e della classe politica a dare loro i motivi plausibili. Ho molti amici che stimo che alle ultime elezioni hanno votato Cinque Stelle e sarebbe stolto pensare che tutti condividano la politica esoterica e sterile dei grillini. Cinque Stelle è il sintomo grave del virus mortale del decadimento della politica e dell’etica pubblica.
Roma è la nostra Capitale e tutti sanno che lì si sta giocando un pezzo non piccolo del futuro della politica italiana.
Se è così, io mi aspetterei che sia proprio il Campidoglio il terreno di prova perché il partito, la classe politica, che è consapevole protagonista di un cambiamento necessario, dia prova di avere capito il senso della sfida e a questo si attrezzi.
Roma non è un fatto locale, ma il luogo della sfida nazionale.
E il Partito Democratico – il mio partito – non mi sembra attrezzato a combattere questa battaglia.
Dobbiamo capire che partiamo in forte svantaggio, perché a Roma ha vinto la Raggi, non tanto perché da Fassina a Casa Pound al ballottaggio hanno dato – come hanno pur fatto – indicazioni di votarla, ma perché la sinistra romana ha dato di se l’immagine più squallida e repellente. Al riguardo ho poco da aggiungere, se non che la improvvida stagione di Marino (autocandidatosi) era già un preciso segnale della inadeguatezza dei dirigenti locali e delle divisioni inconciliabili nel partito.
Lo ricordo proprio ora che quel mantra Onestà Onestà si sta ritorcendo contro la Giunta.
Ma non è impossessandoci noi di quel grido di guerra che saremo in grado di presentarci come la nuova classe politica capace di governare il difficile e titanico rinnovamento di Roma.
Non abbiamo perso perché eravamo disonesti, ma eravamo disonesti perché la classe politica di eccellenza e sapienza era scomparsa delle nostre fila. Lo statista ha altre ambizioni e doveri, che non l’arricchimento proprio e delle correnti.
Ho visto e sentito gli interventi degli attuali nostri esponenti e – lo confesso – mi sono sembrati monchi, insufficienti, frenati da un senso di colpa e privi di una visione propositiva. A cominciare da Giachetti si tratta di persone stimabili e brave. Ma non mi sembra che la strategia sia quella di una nuova classe dirigente, preparata e affidabile, che si lasci alle spalle il “profumo di casta”. Dobbiamo proporre non solo criticare, dobbiamo parlare ai romani e agli italiani e non solo all’aula e in favore di telecamere!
Lo sanno tutti che, se Atac e Ama sono da vendere, la sinistra non è affatto esente da responsabilità.
E un partito che è la sola speranza di cambiamento, ha il dovere – pur nella continua intemperie della crisi globale e malgrado la presenza di un’opposizione interna scioccamente interdittiva – di non trascurare l’organizzazione territoriale (lo vedo in diretta a Palermo e nella mia Sicilia).
E non può proprio a Roma non intervenire per innalzare la qualità dello scontro che affrontiamo. Passando Da Cesare a Renzi… Il nostro Rubicone è lì!