di Gabriele Bonafede
Nella politica italiana c’era una volta il manuale Cencelli. Per i giovanissimi, che si presume siano i soli a non conoscerlo, era un modus operandi, una regola (forse) non scritta, che stabiliva come nelle scelte di governo, sia nazionale che locale, ogni partito aveva diritto a un numero di “poltrone”, o posti di comando, di governo o amministrazione, che fosse proporzionale al proprio peso elettorale ottenuto.
Per maggiori informazioni vedere anche solo la voce Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Manuale_Cencelli, o il libro di Renato Venditti, Il manuale Cencelli. Il prontuario della lottizzazione democristiana. Un documento sulla gestione del potere, Editori Riuniti, 1981, recentemente pubblicato in nuova edizione (come da immagine qui a lato).
Era un metodo di potere con non pochi difetti, tra i quali quello di accettare la cosiddetta “lottizzazione”, ovvero l’occupazione dei posti di potere, a vari livelli, anche minimi, da parte dei partiti. I quali spesso e volentieri gestivano questo potere in assoluta indifferenza, o peggio, rispetto alle competenze necessarie agli uomini (a volte anche le donne) indicati per quello o quell’altro posto di responsabilità.
Responsabilità spesso di tipo tecnico e che necessitavano dunque di competenze non possedute da tutti. Meno che mai, ahimè, dagli assegnatari di queste stesse responsabilità: un signore qualsiasi, o qualunque, di trovava a gestire una banca, un nullafacente un assessorato, un cerca-guai l’azienda di trasporti cittadina, un ignorante le scuole, e così via.
C’era, forse, solo un vantaggio nell’applicazione del manuale Cencelli: la riduzione di tempi e litigi nella gestione, per quanto qualitativamente infima, delle decisioni. Per lo meno nell’assegnare l’amministrazione degli Enti (Nazionali o Locali), delle città, del Paese in genere, così come del governo centrale. Il che, in un Paese con molti partiti e partitini, movimenti e movimentini, poteva essere utile. Sempre con beneficio di dubito.
Oggi non è più così. Come dimostrano le vicende della capitale d’Italia, e di altre esperienze amministrative ad esempio in talune città siciliane, si è passati dal manuale Cencelli al manuale “Cinquestelli”. Il plurale è d’obbligo, e non c’è più bisogno di spiegare perché.
Si è passati, cioè, alla bagarre continua in un percorso del tutti-contro-tutti all’interno di amministrazioni teoricamente “monocolori” a Cinque Stelle, che però nascondono dietro molti colori, molte fazioni, molte correnti, molte opinioni e molti litigi. Con l’aggravante del non sapere, e nemmeno considerare più chi ha avuto “tanto” o “meno”, o “più” in quanto a peso elettorale. Nessuno lo sa, per lo meno tra gli elettori. Anzi, forse è meglio che nessuno lo sappia. E con l’ulteriore aggravante di aver ugualmente, o peggio, un imbianchino a dipingere quadri, un nanetto a giocare a pallacanestro, una insegnante di geografia in sala operatoria, e un “letterato” a costruire ponti e dighe.
Nel passaggio dal manuale Cencelli al manuale Cinquestelli sembra si siano aggravati i già evidenti difetti e si siano ridotte le già minime, o teoriche, virtù. Ad esempio, tra i difetti sembra aggravato quello della lottizzazione che da “politica” sembra sia diventata selvaggia, se non barbara.
Se ne sono aumentati anche i “misteri” e l’arcano funzionamento, proprio del meccanismo decisionale; per lo meno agli occhi del cittadino comune, che pure si voleva “difendere”.
Nel manuale Cinquestelli, inoltre, è insito il tarlo della sponsorizzazione degli amici, dell’eventuale nepotismo (forse anche qui ci vorrebbe una citazione di Wikipedia o dizionario), e soprattutto del gioco al massacro: quello della sparata contro la gestione della cosa pubblica purchessia. O, per meglio spiegare ciò che non è facile spiegare, il vizio patologico del denigrare qualsiasi cosa e persona, in un vortice senza fondo di pessimismo nero e senza via d’uscita. Arma politica boomerang, perché a forza di sparare e fomentare critiche selvagge e distruttive su tutto e tutti indistintamente, su chiunque amministri o abbia amministrato, si finisce per sparare e fomentare critiche selvagge e distruttive su se stessi.
L’isolata, o teorica, “virtù” del vecchio manuale Cencelli, e cioè un minimo di modus operandi (e anche vivendi) che assicurasse una maggiore rapidità e consensualità del percorso decisionale, sembra persa. Pare che oggi, come ieri e forse più di ieri, ci vogliano mesi per mettere in piedi un’amministrazione. E comunque tutto ciò rimane instabile, con frequente ritorno alla casella-zero.
Il risultato del manuale Cinquestelli, a Roma e altrove, sembra sotto gli occhi di tutti: munnizza pi’ tutti. Fisicamente e metaforicamente.