di Daniele Billitteri
Tanti anni fa con mia figlia Liliana facevamo il “gioco delle cinque parole”: lei mi diceva cinque parole e io le dovevo utilizzare dentro una storia. Ricordo ancora la perfidia con la quale sceglieva quelle parole per mettermi in difficoltà. Poco fa il gioco me lo sono fatto da solo. Ecco le cinque parole: Figlie, Cani, Amore, Bellezza e Terremoto.
Non so a voi ma a me le tragedie di tutti provocano un aumento della mia personale energia di legame. Forse per rispetto a chi i legami li ha perduti, diventano enormi e troneggianti quelli che ho la fortuna di avere.
Penso a tutte le volte che le mie Figlie mi hanno fatto incazzare e mi armo di cancellino per ripulire la lavagna di queste inutili memorie. Loro sono il sangue che mi scorre nelle vene, diversissime. E comincio a pensare a tutte le volte che ho fatto loro torto. Le ho cresciute cercando di tenermi lontano ma alla vista. Non funziona sempre perché uno le vorrebbe sempre sotto le ali, pronto al più pericoloso degli errori, quello di dire: non ti preoccupare, ci penso io. Questo vale sino a quando hanno 10 anni allora uno deve essere Dio per loro. Ma poi devono capire che il paradiso in terra non c’è e cominciare a imparare.
Per un padre comincia il momento più difficile perché le deve allontanare senza perderle, deve tirare fuori l’archivio delle foto a ripensare a quando aveva la loro età, deve imparare la pazienza e la tolleranza, deva imparare la differenza tra autoritarismo e autorevolezza.
Tutte questo cose, sotto le macerie del Terremoto non contano più.
C’è la mancanza senza ritorno, quale che sia il punto di vista. Così mentre guardo la tv penso a loro e mi viene il pensiero sciocco di chiamarle, di dir loro quanto le amo.
Me lo sono permesso con Diego, invece. Tanto chi ci vede? Hanno fatto vedere i Cani salvati e i Cani salvatori. Ed erano tutti bellissimi, grandi e piccoli. Ho guardato quel gaglioffo che mi gira per casa e ho pensato a come sarebbe se io fossi lì sotto i balatoni. Lui mi guardava col suo solito sguardo pronto a cogliere il minimo gesto cui dare un senso: toglie gli occhiali da computer e mette gli altri. Vuol dire che usciamo. Prende la ciotola vuota: vuol dire che si mangia. Mi fa avvicinare: ora di grattini. L’ho abbracciato forte forte e gli ho spiegato che io ho cura di me anche per lui. Ma che anche lui deve avere cura di sé anche per me.
Poi c’è chi mi ha preso il cuore e non intende restituirmelo. Ma è pur vero che non sono certo io a chiederlo indietro. Lei ha ispirato la serenata che ho scritto per il mio Cuntabilli: “Siddu mi tagghiassiru li vini/ sulu ri tia, lo sai, fussiru chini/ Amuri ca m’acceca comu spina/ si tu la luce mia, la me furtuna”. Questo Amore sa di serenità. E’ il Pennello della Bellezza, quello che mi consente di dipingere i pensieri, anche quelli così tristi di questi giorni. Perché il fatto di averla con me mi dà un privilegio del quale, quasi, mi vergogno.
In definitiva mi piace metterla così: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. (cit.)
In copertina: cani a soccorso delle vittime del terremoto in centro Italia, in una foto twittata dal profilo twitter Mauro (@Evoque99)
Foto di Gibellina dopo il terremoto “Gibellina, gennaio 1968” foto di Leonardo Mistretta tratta da webalice.it:
http://www.webalice.it/leonardomistretta/IL_TERREMOTO_IN_SICILIA.html