di Gabriele Bonafede
Il 14 luglio è una data epocale da più di due secoli: segnò la nascita dell’era contemporanea nel 1789. La nascita, cioè, del mondo occidentale come lo conosciamo: un mondo in crescita, una civiltà alla quale, con tutti i suoi orrori, la Rivoluzione Francese consegnò le parole libertà, uguaglianza, fraternità.
Parole vuote durante rivoluzioni violente, compresa quella francese, ma che poco a poco hanno fatto crescere la pianta della tolleranza. Facendo crescere le condizioni di società civile, cioè, tali da far fiorire l’albero della civiltà occidentale, e non solo. Una pianta che ha radici lontane come sono quelle delle tre parole-chiave del 14 luglio.
L’attacco a queste tre parole, in quel di Nizza 14 luglio 2016, da parte di uno psicopatico, eventualmente drogato di pseudo-islamismo ma in realtà di violenza fine a se stessa, deve fare riflettere. È un attacco alla civiltà occidentale che non ha nulla di diverso dalle ideologie totalitarie del XX secolo come il razzismo e il nazismo.
La civiltà occidentale, con tutti i suoi pregi e difetti, è assediata, anche da se stessa. Ed è assediata soprattutto nel proprio succo fondamentale di civiltà: la tolleranza, la cultura dell’accogliere l’altro, ovvero uno dei postulati fondamentali del Cristianesimo. Non meno assediata è la civiltà islamica, anche da se stessa. Com’è assediata da se stessa la civiltà cristiana. Anche la civiltà islamica ha un pilastro nell’accogliere l’altro, checché ne dicano gli estremisti post-nazisti francesi o italiani, o americani o d’altra nazionalità.
E in questo sciagurato 14 luglio 2016 le date e le ricorrenze sembrano inseguire e chiarire in maniera ancora più evidente questi concetti: c’è una guerra che è sempre la stessa nella storia dell’uomo. Quella dell’oscurantismo e della violenza contro la libertà, la fraternità, l’uguaglianza e, in definitiva, la tolleranza. Ovvero, quella delle dittature, di stampo nazista o “religioso”, nei confronti delle democrazie pluraliste e multietniche.
Le religioni, insultate e calpestate, sono spesso utilizzate da loschi e mostruosi individui quale strumento per realizzare dittature, intolleranza, guerre, potere assoluto, negazione delle libertà e delle tre parole del 1789. Fuori e dentro la civiltà occidentale. Fuori e dentro le civiltà non occidentali.
Il 14 luglio a Palermo, con il “festino” di Santa Rosalia, si festeggia la tolleranza e la dedizione alla pace di una grande donna del secolo medievale. Una donna, antesignana dei diritti civili nella donna di oggi, che seppe fare la sua personale rivoluzione pacifista. E che, sia vero o no, liberò Palermo dalla peste.
Senz’altro vero è che liberò Palermo dalla peste dell’intolleranza almeno per un giorno all’anno. Raccogliendola, ogni anno a partire dal 1624, dietro a un simbolo di rivoluzione pacifica contro i preconcetti medievali: contro tutte le pesti, soprattutto quelle create dall’uomo contro l’uomo, e dall’uomo contro la donna. Questo è il vero significato delle processioni per Santa Rosalia, per credenti e non credenti, patrona di Palermo insieme a San Benedetto il moro. Il moro, sottolineo.
Il 14 luglio 2016 è stata una festa di pace a Palermo: una festa riuscita, con un popolo multietnico ed europeo raccolto pacificamente, insieme ai suoi pregi e i suoi difetti, dietro al carro della Santuzza. In molti abbiamo passato una serata grandiosa, ma tuttavia adombrata e sconvolta dai fatti di Nizza. Sconvolta dal 14 luglio francese del 2016, che ci porta, ahimè, altri martiri della libertà e della tolleranza in una ventosa serata estiva.
Vanno rispettati e non strumentalizzati questi martiri, che si aggiungono a quelli delle tragedie del XX e del XXI secolo, in un filo comune che passa per i milioni di morti delle due guerre mondiali e della Shoà.
Date, parole, fatti e personaggi che si rincorrono da Palermo alla Francia, all’Europa di ieri e di oggi. Perché il 14 luglio del 2016 è stato anche il centesimo anniversario della nascita, proprio a Palermo, di Natalia Ginzburg. Visse i primi tre anni della sua vita in una casa di via Libertà, di fronte a Villa Paino, dove da ieri c’è una doppia targa-ricordo che ne ricorda l’evento.
Come ha detto bene il rabbino di Palermo nella cerimonia di questo piccolo, nuovo, monumento di Palermo: “I primi tre anni sono quelli nei quali, per la cultura ebraica, ma anche nelle pratiche agricole di altre culture, non si tocca l’albero piantato: deve trarre linfa dal terreno per consolidarsi prima della maturità. Così Natalia Ginzburg trasse nei suoi primi anni di vita a Palermo la linfa che ne fece una persona esemplare”.
Nel monumento c’è un racconto esemplare di Natalia Ginzburg, Il figlio dell’uomo, dove dice che lo scrittore non racconterà più nello stesso modo: “Ciascuno di noi una volta nella sua vita si è illuso di potersi addormentare su qualche cosa, impadronirsi di una certezza qualunque, di una fede qualunque e riposarsi le membra. Ma tutte le certezze di allora ci sono state strappate e la fede non è mai qualcosa dove si possa infine prendere sonno”. Oggi la cosa di cui si deve tenere conto, quale ruolo autentico rispetto alla guerra, alle distruzioni e alle stragi, è quella di entrare nella sofferenza e comprenderla. Ed è l’impegno per mantenere la pace, come ci insegna Natalia Ginzburg.
Quest’anno dunque, Natalia insieme a Rosalia: due donne festeggiate insieme nell’intimo connesso della ricerca di una pace dell’umanità e per raggiungere la fine di umiliazioni e persecuzioni. Laddove la tragedia di Nizza ricorda invece che è facile cadere preda del ricatto violento: la peste del nazismo e della prevaricazione, ovvero quelle pesti combattute da Rosalia e Natalia in tutta la loro vita.
Presa della Bastiglia di Jean-Pierre Houël – Bibliothèque nationale de France, tratta da Wikipedia, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=106405