di Giovanni Rosciglione
Tutti conoscono Cecco Angiolieri, poeta toscano nato nel 1260 e morto nel 1313. È classificato tra i rappresentanti del dolce stil novo, che in certo qual modo può essere considerato il movimento letterario che rottamò la vecchia e liturgica lingua latina e affermò coraggiosamente la nostra lingua italiana moderna. Conobbe Dante, del quale fu prima amico e successivamente acerrimo nemico (Dante Alighieri, io taverò a stancare/ cheo sò lo pungiglion/ e tu sel bue), e restò sempre Guelfo, formazione politica che per quei tempi si può assimilare ad una moderna associazione volontaria, cattolica e sociale, tipo boy scout.
Il sonetto che lo ha reso famoso e citato è senza dubbio l’invettiva S’i fosse foco, che si inscrive tra le produzioni poetiche goliardiche del tempo. Un giovane ricercatore ha di recente scoperto che qualche anno prima Cecco aveva vergato una prima versione del sonetto assolutamente sconosciuta ed è stata ritrovata nella casa di una nobile senese del trecento: Leopolda Alberighi degli Albizzi.
Molte coincidenze oggi la rendono attuale e ci sembra giusto farla conoscere anche al pubblico non letterato. Eccola:
S’i fosse foco, arderè il mondo;
s’i fosse vento, lo tempestarei;
s’i fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i fosse Dio mandereil’en profondo;
s’i fosse Premier, non girerei n’tondo
ed al Consesso dem forte griderei
di non franger li sacri zebedei;
e a tutti mozzarei lo capo in tondo;
s’i fossi saggio, anderei allo voto;
se certo avessi adeguato senno,
lo parlamento azzererei in toto;
s’i fossi Renzi, come sono e fui,
terrei l’Italica elezion sanza alcun dubbio
e non accettarei consigli altrui.
In ultimo, ci corre l’obbligo di precisare che, forse per la giovane età del poeta, questa sconosciuta versione è stata firmata come “Cecchino Angiolieri”.