di Gabriele Bonafede
In una Sicilia ridotta a cenere, non solo politica ma anche fisica, emergono tre nette vittorie del Movimento Cinque Stelle per i ballottaggi dove i grillini erano riusciti piazzare un candidato al secondo turno. Su 29 comuni al voto, il M5S ottiene così quattro sindaci (due donne e due uomini) aggiungendo al piccolo Grammichele anche i grossi comuni di Alcamo, Porto Empedocle e Favara con percentuali da capogiro.
Risaltano agli occhi una serie di numeri e di fatti. Il primo è che i voti di lista del Movimento Cinque Stelle ottenuti al primo turno sono svariate volte minori dei voti ai candidati. Segno che il M5S ha saputo proporre, per lo meno dove è presente, alcuni candidati percepiti come il nuovo e di grande attrazione, capaci di raccogliere grandi consensi ai ballottaggi.
Il secondo fatto è la constatazione di un PD, ma anche di una destra, praticamente a pezzi. Già nella composizione delle liste, si registra un’incredibile quantità di liste civiche e “separazioni in casa” in ambedue gli schieramenti tradizionali. Laddove però i grillini vanno al ballottaggio, raccolgono al secondo turno i voti del centro-destra sviluppando un consenso fondamentalmente anti-Renzi e anti-PD.
Il terzo fatto è l’incredibile incapacità del PD a proporre chiarezza e candidati forti e che rappresentino veramente il nuovo. Il caso di Porto Empedocle è emblematico: nonostante il candidato di centro-sinistra abbia potenzialmente qualcosa come i due terzi dei voti espressi nelle liste al primo turno, la sconfitta al secondo turno è schiacciante. Segno di una scelta di candidatura semplicemente sciagurata e derivata da una vecchia politica che andrebbe messa da parte al più presto.
Lacerato al suo interno da profonde divisioni e incoerenze, il PD siciliano esce duramente sconfitto in Sicilia. È una vera e propria rotta, già emersa al primo turno sebbene nascosta dalla pletora di liste civiche e alleanze locali con il centro allargato, ma che appare in tutta la sua crudezza al ballottaggio.
Se Renzi vuole usare “il lanciafiamme” a Napoli, in Sicilia andrebbe utilizzato anche il bazooka, e ripartire da zero. La classe dirigente del PD siciliano attuale va ridiscussa e soprattutto rimossa e ricostruita da cima a fondo. Stessa cosa per quanto riguarda la destra siciliana, capace solo di far convergere i propri voti nei candidati del M5S in un’azione di retroguardia dove c’è poco di che essere allegri.
Detto questo, emerge un altro fatto: su 29 comuni siciliani al voto (quasi il 10% della popolazione isolana), ben 25 rimangono a guida di centrosinistra o centrodestra, più o meno nascosti dietro liste civiche spesso frutto di trasformismo “gattopardesco”. I risultati nazionali del M5S, con le strepitose vittorie a Roma e a Torino, si riflettono dunque anche sulla Sicilia, dove, però, la situazione ancora una volta è diversa dal contesto nazionale. Benché sia una vittoria netta ai ballottaggi, quella del M5S in Sicilia si ferma a sole 4 vittorie su 29, laddove si pensava, prima del 5 giugno, che il movimento di Grillo avrebbe sfondato ovunque si fosse presentato. E la matematica non è un’opinione.
La Sicilia è infatti un campo di macerie politiche, una landa di cenere politica e materiale, dopo gli incendi dei giorni scorsi e, ahimè, i disastri pluridecennali provocati da una classe dirigente o politica inetta e disfunzionale nel migliore dei casi. Eppure, in Sicilia come a Napoli e a Roma, PD e centrosinistra da un lato e centrodestra dall’altro, continuano a non vedere che sono ormai solo pezzi gattopardati di un intero ormai inesistente.
Si aprono nuovi scenari per la Sicilia? Lo vedremo nell’operato dei sindaci, soprattutto quelli a cinque stelle che d’ora in poi saranno osservati speciali. E non solo delle Iene.
Confermo