di Pasquale Hamel
Di Raimondo Borsellino, della sua presenza pubblica, del suo valore professionale e umano, le nuove generazioni non hanno sicuramente memoria: un uomo che, a molti di loro, quel nome non dice nulla. Ed il fatto che a loro non dica nulla va sicuramente a demerito di questa nostra società, sempre ossessionata dal presente e purtroppo capace di dimenticare anche i suoi figli migliori.
Per questo motivo, ho molto apprezzato l’iniziativa del deputato agrigentino Vincenzo Fontana che si è fatto carico di chiedere, alle autorità competenti, la intitolazione di una strada a Borsellino che, e non è una esagerazione, potremmo definire un protagonista della vita civile e sociale della provincia di Agrigento ma, anche, della Sicilia tutta.
Di Borsellino, nobile di ceto sociale ma ancor più nobile d’animo, è giusto scriverne in un tempo come il presente, perché ha rappresentato un modello di impegno, anche politico, alto, un’antitesi all’egoismo individualista e, soprattutto, al pressapochismo a cui ci ha abituati la cronaca.
In molti si chiederanno chi fosse Raimondo Borsellino e cosa avesse fatto di particolare e per questo ne scriviamo. Il prof. Borsellino era un medico, un chirurgo di grande valore, apprezzato per la sua perizia e, già da giovane, si era cimentato in interventi allora sperimentali. La sua vita è stata dedicata alla professione medica ma, anche, alla sua terra. Non è un caso che, laureatosi a Venezia e specializzatosi a Roma, piuttosto che scegliere la carriera universitaria, che gli si spalancava davanti, decidesse di tornare in Sicilia come primario dell’ospedale di Sciacca, struttura sanitaria allora molto degradata che, grazie alla sua opera, fu portata a livelli di grande efficienza.
Il suo nome, nonostante la giovane età, cresceva in fama ma questo non alimentava distacco nei confronti della povera gente che si impegnava ad aiutare offrendo, soprattutto la sua perizia professionale gratuitamente. Alle cronache balza il 19 luglio 1945, quando viene chiamato d’urgenza per operare l’arcivescovo di Agrigento, mons. Giovanbattista Peruzzo, ferito a fucilate da gente rimasta anonima, ma sicuramente di estrazione mafiosa. Peruzzo, infatti, non piaceva a quel mondo criminale che si mostrava apertamente ostile alle iniziative del prelato.
L’intervento chirurgico, realizzato su un tavolaccio del monastero di Santo Stefano Quisquina, nonostante la delicatezza della parte interessata, riuscì perfettamente e il vescovo scampò a morte sicura. Di quest’episodio, ne racconta i particolari, Andrea Camilleri nel suo “Le pecore e i pastore”. Proprio l’impegno sociale e la stima generale che andava crescendo nei riguardi del giovane chirurgo, a cui si aggiungeva una robusta fede cristiana fatta di pratiche e di azioni caritatevoli, lo spinsero, malgré lui, alla politica.
Nel 1946, fu deputato democristiano alla Costituente occupandosi di medicina, la materia di sua competenza. La sua carriera politica proseguì con l’elezione nel 1948 alla Camera dei Deputati. E proprio nel ’48, avviene un altro episodio che lo vede protagonista. Il clima infuocato del dopo-elezioni del 18 aprile 1948, aveva creato spaccature e lacerazioni gravissime. Fu allora, il 14 luglio dello stesso anno, che un giovane catanese esaltato, lettore appassionato del Mein Kampf di Hitler, decise di far fuori il leader dell’opposizione comunista, Palmiro Togliatti.
Lo attese all’uscita da Montecitorio, in un momento in cui Togliatti si era incautamente privato della scorta. E proprio lì, Antonio Pallante, questo era il nome del giovane, esplose quattro colpi di pistola ferendo gravemente il leader comunista. Per fortuna, proprio in quel momento, arrivava il professore Borsellino, e fu lui ad apprestare le prime cure e soprattutto ad indirizzare il ferito al policlinico di Roma dove sapeva che c’era la sala operatoria pronta e il professor Valdoni che operava.
Come sappiamo, quelle prime cure e l’indicazione della struttura giusta, salvarono la vita al Migliore. Borsellino, proseguì con il suo impegno professionale e politico ancora per anni. Fu infatti eletto ancora una volta nelle consultazioni del 1953, dimostrando sempre grande responsabilità nell’assolvimento dei propri compiti politici. Mancò le elezioni del 1958. Sulla scena politica ormai cambiata, irrompevano nuovi leader esperti nella raccolta del consenso che avevano decretato l’uscita di scena di personaggi come Gaspare Ambrosini o Francesco Pignatone.
La fine dell’impegno politico per Borsellino non significò la fine del suo impegno sociale e professionale. Ancora per molti anni, nella sua lunga vita, continuò ad essere un riferimento professionale importante ma, soprattutto, un riferimento per quegli ultimi a cui lui, profondamente cristiano, avrebbe sempre dedicato il suo obbligo di vita. Ne scrivo, qui, non solo per lodare l’iniziativa, ma per ricordo della zia Marianna Vaccarino Spoto, che fu cugina dell’eminente clinico.
Foto in copertina: Camera costituente da Wikipedia: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1099332
È stata per me una scoperta straordinaria la storia di questo indomito pioniere della democrazia e della medicina. Grazie per l’articolo che racconta qualcosa in più di questo bellissimo personaggio.