di Davide Mannelli*
Era bello, era forte, era spavaldo. Muhammad Ali (perché è così che voleva essere chiamato ed è così che vorrebbe essere ricordato) aveva tutto quello che un uomo vorrebbe per sé, al di là delle ipocrisie di sorta: fama, soldi, donne, successo, ammirazione.
Tecnicamente forse non è stato il pugile più completo della storia dei pesi massimi, perché Joe Louis in questo era l’emblema della perfezione. Ma Ali è stato sicuramente l’atleta più popolare dell’intero Novecento. Oltre Pelè, oltre Maradona. Perché il suo impegno era totale, dentro e fuori dal ring.
Portavoce del diritto dei neri, sostenitore dei diritti civili, uomo della pace. Erano gli anni ’60, e il ventenne di Louisville si ritrovò a lottare contro Sonny Liston, il campione in carica. Il “brutto orso cattivo”, come lo chiamava lui. Lo sconfisse due volte, in due match molto discussi: Liston camminava a braccetto con la mafia del pugilato e in molti dissero che si fosse venduto entrambi i match. Infatti non è in quei due incontri, rispettivamente del ’64 e del ’65, che va cercata la grandezza di Muhammad.
La sua forza si sprigiona in tutto l’arco di quel decennio, con quelle gambe che valevano come braccia, perché la loro agilità mettevano in difficoltà gli avversari quanto avrebbero potuto farlo le braccia. Nel ’67 gli tolsero tutto, perché non voleva combattere in Vietnam. Furono anni difficili per “The Greatest”, che si riprese tutto con gli interessi negli anni Settanta. Sconfisse due volte su tre l’eterno rivale Joe Frazier e, soprattutto, stupì il mondo il 30 ottobre del 1974, quando ridiventò campione del mondo e tolse lo scettro a George Foreman, che era assai più giovane di lui e pareva indistruttibile.
Alì conservò il titolo fino al ’78, quando un ragazzino di nome Leon Spinks gli tolse la corona per breve tempo (venne sconfitto nella rivincita). Ma non era più il grande pugile degli anni Sessanta, quello. Alì stava invecchiando, il suo fisico si allargava, le sue gambe non ballavano più. All’inizio degli anni Ottanta Alì esagerò nel portare la propria carriera troppo avanti, e venne umiliato in mondovisione in due tristi incontri.
Ma ormai aveva fatto la storia, e nessuno poteva più cancellarla. Gli ultimi anni, i più tristi e ingiusti. La malattia, una beffa per l’uomo più vitale della storia. La sofferenza troppo lunga, per uno come lui. Lo voglio ricordare com’era. Bello, forte, spettacolare. Perché Muhammad Ali è stato uno spettacolo: meraviglioso, eterno, irripetibile.
In copertina: Cassius Clay (Muhammad Ali) vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960. Foto tratta da Wikipedia: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1370568
Foto nel testo tratta dal video:
*Autore del romanzo sul pugilato “Senza pugni” Edizioni Leima, Palermo 2014 http://www.edizionileima.it/catalogo/download/14.06_La_vita_di_Marco_Russo.pdf
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