di Gabriele Bonafede
Non è bello ciò che è bello, ma che bello, che bello, che bello. Lo ricordiamo tutti quando lo diceva Frassica, giovanissimo, in una nota trasmissione di quelle del mitico Arbore. E sul bello, il brutto, e il cattivo (all’occasione) si può disquisire per ore, mesi, anni, con o senza Bellavista… che “così parlò” qualche tempo fa.
Ma sui numeri, disquisire su ciò che piace e ciò che non piace è diverso. Se la qualità dell’arte e dello spettacolo può essere un’opinione, i conti economici sui soldi che entrano e quelli che escono non possono esserlo. E sul bilancio, il Teatro Biondo di Palermo sta facendo la sua parte. L’ha fatta anche quest’anno.
“Pubblico in aumento, maggiori ricavi e un netto risparmio sui costi di gestione. È questo, in sintesi, il bilancio della stagione 2015-2016 del Teatro Biondo di Palermo diretto da Roberto Alajmo.”, comunica la direzione. Snocciolando cifre che dimostrano come l’impegno delle istituzioni siciliane nel sostenere lo stabile di Palermo si riduca di un quarto in un triennio, mentre aumenta quello del Ministero e quello, monetizzato, del pubblico.
“A fronte di un progressivo calo delle quote associative da parte dei soci – dichiara il Biondo – passate complessivamente dai 6.472.550 del 2013 e dai 5.351.276 del 2015 ai 5.186.000 del 2016 (-25% in tre anni), il Teatro ha investito di più in produzione: 1.686.000 nel 2015 e 1.451.584 nel 2016, contro gli 897.000 euro del 2013 e i 943.000 del 2014. Ciò è stato possibile perché il Teatro Biondo è riuscito a risparmiare sui costi del personale (passando da 2.514.000 nel 2013 a 1.793.000 nel 2016) e i costi di gestione (2.697.000 nel 2013, 1.744.848 nel 2015 e 1.727.251 nel 2016). Inoltre, il Biondo di Palermo ha registrato maggiori ricavi dalla vendita delle produzioni: una media di circa 1.000.000 tra il 2015 e il 2016 a fronte di appena 247.000 euro del 2013.”
“Da registrare anche negli ultimi anni un costante aumento del finanziamento ministeriale, che è basato su parametri certi di quantità e qualità, e che ha riconosciuto il Biondo come Teatro di Rilevante Interesse Culturale assegnandogli un contributo di 920.746 euro, 100.000 euro in più rispetto al 2014 e 250.000 euro in più rispetto al 2013.”, precisa la nota della direzione.
Nella stagione appena conclusa sono diminuiti gli abbonati, ma sono aumentati i biglietti venduti: “La lieve flessione sul numero degli abbonati (5337 rispetto ai 6547 della passata stagione) è dovuta all’abolizione di 5 turni di abbonamento in Sala Strehler e al maggiore sbigliettamento, che ha prodotto maggiori incassi: 20.766 spettatori singoli contro i 17.734 della passata stagione.”
L’arte può dare del pane? A vedere i conti trasmessi alla stampa dalla direzione del Teatro Biondo pare di sì. Perlomeno per una quota consistente e magari stringendo la cinghia in tempi di crisi. Eppure, proprio perché i tempi di crisi sono particolarmente duri, il bilancio economico del Biondo appare ancora più miracoloso. Soprattutto se si pensa da dove si partiva solo 36 mesi fa e quali tagli si siano visti nel frattempo: i contributi pubblici oggi sono la metà di quelli concessi otto anni fa. Un salasso.
Il debito non diminuisce, nota dolente. Ma non potrà mai diminuire se i contributi diminuiscono a questo ritmo. Su questo, anche i miracoli hanno dei limiti. Un rilancio economico del Biondo passa dunque per una ricerca di nuovi fondi, magari sia pubblici che privati, da aggregare intorno a un progetto che parta da quanto fatto in questa gestione.
E veniamo alle opinioni.
Molti spettatori, sostenitori, affezionati, hanno storto il naso su determinate scelte artistiche. E qualche spettacolo non ha riscosso il successo sperato. Nel complesso, nella mia opinione assolutamente personale e per questo non traslabile in altro, qualche spettacolo visto alla Sala Strehler avrebbe meritato invece la Sala Grande, e viceversa. Forse alcune buone esperienze del primo anno di nuova gestione avrebbero fruttificato ulteriormente se adeguatamente sostenute, se non altro dal punto di vista artistico. Si pensi, ad esempio, al grande potenziale del miglior Scaldati e chi, a Palermo, è in grado di rappresentarlo al meglio in Sicilia e altrove.
Ma sono ragionamenti assolutamente emozionali. E per giunta con il senno di poi. Comunque riferiti a un’opinione artistica personalissima che non tiene in nessun conto delle numerose variabili di contesto, soprattutto d’ordine economico.
Ampie, per fortuna, sono le risorse locali non ancora del tutto mobilizzate per il Biondo, segnatamente in campo artistico. Ci potrebbe essere ancora maggiore presenza e coraggio, cioè, per artisti, istituzioni, compagnie, altri teatri cittadini, che possono contribuire a una rinascita più evidente, corroborando ulteriormente l’aspetto economico con quello artistico.
Forse la via da tracciare sarebbe, se non un “mettersi in rete” attraverso una cooperazione più stretta e presente, almeno con una sorta di coordinamento tra le tante realtà del teatro e dello spettacolo a Palermo. Realtà che, insieme ad altri settori dell’arte e dello spettacolo, rappresentano ancora una nicchia d’eccellenza per una città che invece perde grandi opportunità su altri fronti, a partire dall’industria in senso stretto e i servizi avanzati.
Su questo tema ci sono segnali molto positivi da parte del Biondo: “Vorrei ospitare un centro di pubblicizzazione degli spettacoli di tutti teatri palermitani – afferma il direttore Roberto Alajmo – approfittando del fatto che il Biondo è centrale nella città e da qui, su via Roma, passano anche molti turisti. Ovviamente al luogo fisico corrisponderebbero anche luoghi virtuali sulla pagina web e i social. Anche per il coordinamento nei cartelloni delle stagioni, nelle date e i contenuti, si possono fare passi avanti. Sarebbe un successo riuscire anche a organizzare su internet un box-office unico per i teatri palermitani che vogliano e possano tecnicamente aderire all’iniziativa”.
Rimane una considerazione da sottolineare. In questo triennio a guida-Alajmo il Teatro Biondo di Palermo ha, se non altro, dimostrato che esiste una via per salvare e rilanciare lo stabile e persino il settore dello spettacolo a Palermo.
Soprattutto se ci si convince che investire oculatamente soldi pubblici nell’arte e nello spettacolo non è un costo, ma un beneficio. Quella del Biondo è, aldilà delle opinioni sui singoli spettacoli, una strada tracciata. Che può fruttificare in un contesto più ampio, e puntando su una rinnovata fiducia nelle proprie capacità: c’è bisogno di ottimismo, e sta a noi trovarlo.