di Gabriele Bonafede
Serve un Patto per la Sicilia e non solo per Palermo, Catania e Messina. Non sono solo le maggiori città ad essere in profonda crisi, con licenziamenti a migliaia, abbassamento del reddito, imprese che chiudono. E non è una crisi che deriva solamente dalla crisi europea o mondiale: ha radici molto più profonde. Radici che si sono, ahimè, sviluppate a dismisura: quelle di una classe dirigente incapace e troppo spesso autolesionista e di un popolo cronicamente rassegnato.
La Sicilia ha bisogno di un Patto di Sviluppo che va ricercato nel rapporto con lo Stato nazionale, nel rinnovamento della classe dirigente, e nei rapporti all’interno della società siciliana. Un Patto trasversale, tanto politico quanto sociale. Nel quale vanno coinvolte tutte le forze sane della società. Un Patto che deve essere un progetto a corto, medio e lungo termine: mettendo d’accordo imprese e sindacati, forze politiche e società, lasciando da parte divisioni e assurdità.
Va trovata un’idea di sviluppo, di crescita, di riscatto.
Va, in breve, cercata una “rivoluzione romantica”. Che era in qualche modo cominciata, accennata, sia pure inconsapevolmente, all’inizio degli anni 2000. Cioè quando ci furono le “vacche grasse” dei fondi europei. Quando, tra il 2004 e il 2007 si riuscivano a spendere i fondi europei, si attraevano investimenti, si prospettavano progetti sociali ed economici di crescita, per quanto limitati, quasi inconsapevoli e ancora parziali.
Da allora, un declino senza fine. Un declino che è la logica conseguenza di errori ripetuti più e più volte dalla classe dirigente, non solo isolana e non solo quella politica. Le università siciliane, ad esempio, sono agli ultimi posti per qualità, in un quadro nazionale non esaltante.
Le scuole non funzionano a un livello degno di un Paese sviluppato. L’analfabetismo di ritorno è dappertutto e non c’è, tranne che in alcuni settori dell’arte ed alcuni sotto-settori economici, un ventaglio di eccellenze siciliane. C’è una povertà culturale che parte dall’infanzia e passa attraverso i giovani e più generazioni. E non è un problema di personale: i professori, i maestri, gli insegnanti sono spesso di grande qualità e di dedizione quasi missionaria, ma è il sistema-scuola e formazione che è pensato male e mal sostenuto in termini di servizi e strutture.
Soprattutto non c’è e non si vede all’orizzonte un progetto. Un Patto per la Sicilia deve essere innanzitutto una condizione psicologica di riflessione e progettualità per il futuro, prima ancora che una serie di interventi pubblici e privati in ambito economico.
Un Patto per la Sicilia non è il capo del governo italiano di turno che viene a dire che si faranno investimenti pubblici nelle tre grandi città siciliane. Un Patto per la Sicilia è un accordo del popolo siciliano con se stesso: un’idea di futuro diverso da quello che passivamente si aspetta dall’esterno.
È un percorso: come tutte le cose della vita e della società. Un percorso che va iniziato adesso prendendone innanzitutto coscienza, e stabilendone gli obiettivi coinvolgendo tutti i siciliani, i cittadini, i lavoratori, i sindacati, le imprese, le amministrazioni come le scuole e le università, i paesini come le grandi città, i siciliani di Sicilia come quelli d’altrove.