di Pasquale Hamel
Domani, 15 maggio 2016, ricorre il settantesimo anniversario dello Statuto regionale siciliano, ovvero sette decenni di Autonomia. Ricorrenza importante ma, diciamolo pure, poco sentita dai Siciliani. Le critiche che, soprattutto in questi ultimi tempi, sono state sollevate nei confronti della istituzione regionale sono tali e tante che il solo parlare di celebrazione si presta al ridicolo.
L’Autonomia, nonostante qualche merito l’abbia pure avuto, non ha realizzato, anche per demerito del ceto politico che nel corso degli anni l’ha abitata, quelle aspettative di crescita civile ed economica che i Siciliani si aspettavano.
La Sicilia infatti, dopo settant’anni di autonomia “specialissima” con ciò che tale condizione comportava, continua essere fanalino di coda del nostro Paese e non riesce ad assicurare un giusto avvenire alle sue genti. Qualcuno, mosso da passione più che da razionale realismo, dirà sicuramente che le mancate realizzazioni delle promesse siano dovute al sostanziale svuotamento dello Statuto regionale siciliano e, magari, punterà il dito accusatorio nei confronti di uno Stato che non avrebbe rispettato “i patti”.
Vero è infatti che, nel corso di questi decenni, alcune delle disposizioni qualificanti l’Autonomia sono state di fatto cancellate, che parte di quell’architettura che faceva della Regione uno stato in sedicesimo è stata spazzata via in modo talora “garibaldino”, ma riflettendo attentamente su ciò che è stato cancellato verrebbe naturale rispondere che, forse, non è stato un male.
Norme come, ad esempio, quella sull’Alta Corte erano state pensate per qualcosa che aveva ben poco a che fare con la reale missione di un’Autonomia diretta allo sviluppo e alla crescita civile e sociale di questa nostra Isola ed invece si iscrivevano nella logica di uno Stato nello Stato di cui i siciliani non sapevano e non sanno che cosa farsene.
D’altra parte, al di là del mito, quest’Autonomia è nata viziata, è nata per proteggere dal “vento del nord”, cioè dal vento del cambiamento e dell’innovazione, gli assetti di potere storicamente consolidati, è stata concepita cioè come strumento di conservazione e non di progresso.
Un’Autonomia nata, come ha scritto lo storico Giuseppe Giarrizzo, da uno Statuto di pessima qualità giuridica come quello del ’46 e che aveva finalità non dichiarate di proteggere qualcuno o qualcosa, non poteva essere lo strumento giusto per aggredire i problemi storici di una terra e di una popolazione che pretende, e ne ha il diritto, di sciogliere gli antichi nodi del sottosviluppo.
Così nonostante in qualche momento, sarebbe poco onesto non riconoscerlo, ha spiegato taluni effetti positivi, è altrettanto onesto riconoscere che i risultati complessivi, il bilancio di questi settant’anni è complessivamente negativo.
Piuttosto, dunque che celebrare questa ricorrenza, sarebbe più utile cominciare ad interrogarsi, e noi lo facciamo da tempo, se non sia più utile fare un passo indietro.
E tornare ad essere normali rinegoziando uno Statuto che metta una pietra tombale sul rivendicazionismo spagnoleggiante che ha finora contraddistinto la storia e la cronaca regionale, e che invece punti sulla collaborazione fra le istituzioni rinunciando, ad esempio, alla cosiddetta competenza esclusiva o alla pretesa di un’autonomia finanziaria a cui non ha corrisposto l’altra faccia della medaglia. Che si chiama responsabilità.
Le foto di copertina e nel testo sono tratte da Wikipedia:
Copertina: Di Civa61 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28258228
Giuseppe Alessi: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2566067
Piersanti Mattarella: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3133585
Palazzo dei Normanni, esterno: Di Bjs – Opera propria, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=564139