di Matteo Bavera
Qui a Düsseldorf, l’elegante cittadina sul Reno della regione North Wefstalia, gemellata con Palermo (ma quante differenze!), siamo al centro dell’Europa. In questi giorni si può vedere la straordinaria mostra di Alberto Burri e dintorni, film sul cretto di Gibellina compreso, al museo K 21. E da qui ci si può spostare facilmente nelle grandi capitali del nord Europa. Per esempio siamo a due ore da Amsterdam, dove il fine settimana scorso mi sono nutrito di grande pittura e teatro.
Si può fare grandissimo teatro con due attori e quasi niente altro? Al Toneelgroep di Amsterdam, Luc Perceval, Maria Kraakman e Gijs Scholten van Aschat, con il testo di Hugo Claus, “Gli anni del cancro”, dimostrano ampiamente questa ipotesi!.
Nella grande scena vuota, oltre ai due attori, una piccola bicicletta per bambini e una ventina di pupazzi gonfiabili appesi sopra le loro teste. Pupazzi come bambole erotiche gonfiabili, ma al maschile, con apparenti lunghi membri ben esposti e turgidi.
Siamo di fronte ad un testo spietato che, in un primo momento, ci fa pensare all’ennesima indagine psicanalitica di coppia. Pur se ritroviamo gli elementi che raffigurano il disagio degli uomini e donne di oggi e di sempre, qui è la messa in scena e il lavoro degli attori che disegnano una nuova possibilità di fare teatro puro, come accade sempre meno.
Gijs Scholten, arriva in scena vestito di grigio e, subito, minaccia una tirata incomprensibile e noiosa a causa della lingua fiamminga che usa, nonostante i sovra titoli in inglese. Invece comincia un’elegante danza su se stesso, lunga fino ad immaginare il suo sfinimento fisico.
Gijs non è giovanissimo, ma la sua preparazione atletica è frutto maturo del pensiero di Perceval sulle caratteristiche che impone ai suoi interpreti, dove la qualità recitativa va di pari passo alla garanzia fisica, ai confini della performance.
Lo raggiunge Maria Kraakman. Non elegante, nei suoi abiti di tutti i giorni. La sua bellezza si rivela dolcemente e lentamente nella trasformazione delle proprie sembianze fino alla rivelazione compiuta in una sua casta nudità, prima della scomparsa. Inizialmente, indossa calze smagliate e biancheria intima quasi respingenti.
Un denudamento parziale li porta ad un primo contatto fisico, ma anche alla scoperta delle reciproche fragilità, la mancanza di piacere, l’impotenza, le false aspettative e l’insofferenza dell’altro.
Sono soprattutto le immagini a raccontarci questo dolore.
Lui strappa e sgonfia un bambolotto dal soffitto cercando di ridargli vita gonfiandolo col proprio respiro, lei per attirare la sua attenzione gira inutilmente in tondo con la piccola bicicletta con cui prova a spiccare il volo. La stessa bicicletta che era diventata una motocicletta per un illusorio viaggio dell’uomo capelli al vento.
Ancora, passi di danza circolari attorno all’uomo, le mani mobili come ali in un tentativo perenne di alzarsi da terra, segna l’intera sua azione nello spettacolo.
L’amore come auto dipendenza e auto inganno, scrive Perceval nelle note di regia.
Questo dolore ci prende e ci commuove in maniera crescente. Fino a quando lui, rimasto solo in scena, in un’altra lunga danza che sembra voler sintetizzare il passare del tempo della loro vita insieme e l’inutilità del tempo perso di ora, ci racconta della sua malattia, della separazione degli ultimi tempi, della vita di lei vissuta abitando su una barca ancorata in un canale… Si compone e si scompone all’infinito un crudo, intenso, ma soprattutto vulnerabile gioco di attrazione e rifiuto. In un magnifico attrito tra il loro comportamento distruttivo e le morbide dolci melodie giocate dal vivo, dal pianista Jeroen van Veen, fondamentali nella drammaturgia della magica serata.
Una corsa immobile, di due brevi ore, come su un tapis roulant che non smette di commuoverci e farci pensare a noi e al mondo, come dovrebbe sempre fare il Teatro. E nel finale ci accorgiamo che i membri dei pupazzi di piacere non sono piantati nell’inguine ma dentro lo stomaco, come spade che ci hanno trafitti!
Luc Perceval è uno dei registi di lingua tedesca più interessanti degli ultimi anni. Opera generalmente al Teatro Tahlia della meravigliosa città portuale di Amburgo. Ha lavorato molto a rileggere e reinventare Shakespeare.
La sua ricerca ci sorprende ancora una volta poiché conduce all’universalità dei grandi classici, dentro una piccola e umana storia tra due esseri apparentemente insignificanti e che invece riescono a ridarci il senso profondo dell’arte teatrale, indagando a fondo nelle nostre periferie dell’anima.
Pubblico in piedi per una meritatissimaovazione.
Foto del Stadsschouwburg Amsterdam, tratta da wikipedia, di Kleon3 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39704585