di Pasquale Hamel
“Perché un porco è porco e basta; ma un uomo, no, signori, potrà anche essere porco, non dico, ma porco e medico, per esempio, porco e avvocato, porco e professore di belle lettere e filosofia, e notajo e cancelliere e orologiajo e fabbro”. Il brano, tratto da Il Signore della nave del nostro Pirandello, la poniamo in epigrafe a questo ricordo di almeno quarant’anni fa.
In quel tempo, nelle sale cinematografiche impazzava il cosiddetto western all’italiana, o spaghetti western, cioè una reinterpretazione di quella filmografia che aveva appassionato tante generazioni di spettatori. Le inquadrature dei paesaggi, particolarmente curati, una densità umana molto più profonda di quella che aveva proposto l’originale filmografia americana, protagonisti come l’indimenticabile Clint Eastwood, cui si aggiungevano le splendide musiche di geniali compositori come Ennio Morricone, nonché sapienti regie di artisti come Sergio Leone, avevano decretato il successo di pietre miliari del cinema come Per un pugno di dollari, Il buono il brutto il cattivo o il monumentale e vero capolavoro C’era una volta il West.
Anche a Porto Empedocle, le sale cinematografiche della “Marina”, che a quel tempo erano due, lo storico Cine- teatro Mezzano e il nuovo Cine Empedocle, alle quali in estate bisognava aggiungere l’arena Fiamma, non si sottraevano a quel genere. Ed era un successone, visto che si arrivava al punto che, in certi orari, le sale erano complete e qualcuno si era perfino inventata, con una relativa fortuna, una vera e propria attività di bagarinaggio.
Eravamo soprattutto noi giovani, che sognavamo le avventure negli spazi sconfinati del West, ad accaparrarci i biglietti delle proiezioni pomeridiane. Quelle serali interessavano una fascia diversa di spettatori. Per questo motivo, ci presentavamo con un certo anticipo aspettando che le saracinesche si alzassero per raggiungere il banco cassa dietro il quale stavano, in genere, i proprietari.
La vicenda che racconto si svolse al cinema Mezzano, che era gestito da tre fratelli due dei quali con nomi particolarmente originali come potevano esserlo Ermete e Leonida. Quel giorno, se non sbaglio, il film che si proiettava, nella sala arredata di poltroncine in legno chiaro con la seduta e la spalliera di velluto rosso, era La resa dei conti con un altro grande attore, come Lee Van Cleef. Come sempre, si registrò grande pubblico per il primo spettacolo, tanto da giustificare una piccola ressa per conquistare il biglietto prima di avviarsi verso la sala al cui varco stava il sig. Bongiorno, che staccava con un certo disinteresse la matrice del biglietto prima di dare libero accesso.
Fra gli spettatori non poteva mancare un fedelissimo del western, Tanu u’ porcu, un trentenne tarchiato, dal ventre prominente con un testone rotondo spesso rasato a zero. Quel nome, che evidentemente gli era stato appioppato per le non troppo eleganti perfomance che ne contraddistinguevano il comportamento, inutile dirlo, gli era stato affibbiato dal solito Brucaleddu.
Tanu, spingendo e sgomitando per farsi largo, era riuscito fra i primi ad arrivare in sala conquistando una bella posizione centrale dalla quale poteva godersi al meglio lo spettacolo. Appena seduto, com’era solito fare allargando le fauci in modo pazzesco si lasciò andare a sbadigli e ruttando rumorosamente, e questo con gran divertimento o con fastidio di chi gli stava accanto. Così almeno fino a quando le luci si spensero e la pellicola cominciò a svolgersi sul grande schermo.
La concentrazione del pubblico era al massimo livello e, salvo qualche “oh !” di meraviglia o qualche “hi !” o “hu !” di partecipazione, il silenzio regnava sovrano. Ed ecco la scena madre, una scazzottata fra l’eroe e il delinquente, con un gancio che mette quest’ultimo a terra. “Alzati porco!”, Grida l’eroe dello schermo.
E, proprio in quell’istante, Tanu u’ porcu, forse spinto da necessità impellenti, si alza per guadagnare la toilette.
Immaginate l’effetto. Una risata generale coinvolge il pubblico, le grida coprono i dialoghi. Lo stesso Tanu, offeso, s’azzuffa con qualcuno mentre volavano oggetti dappertutto. Insomma una specie di episodio-western dentro il cinema, come se il film fosse passato dallo schermo alla sala trasformandola in saloon: una bagarre tale che si dovettero accendere le luci. E a un certo punto fu necessario perfino l’intervento della forza pubblica a sedare il disordine.
La scena finale però non fu quella. Infatti, proprio quando la calma sembrò ritornare, dal tendone rosso ch’era stato richiuso apparve una figurina d’altri tempi che rivolta al pubblico con un linguaggio anch’esso d’altri tempi, si rivolse agli spettatori alquanto stupiti: “Nella mia vita di teatrante – scandì il personaggio da su il placo – ho visto “vastasi”, tanti “vastasi”, ma perdonatemi se vi confesso che vastasi come lor signori non ne ho visti mai!”
Eh già, la sala di solito era al bujo e, tranne la pellicola, non si poteva vedere granché, tantomeno le vastasate.
Foto del film “C’era una volta il west” tratte da Wikipedia con la dicitura: “Per questo file non è stato specificato nessun autore. Per favore fornisci le informazioni relative all’autore. – catturato da Charlie Tatum, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4718044″