di Angelo Argento
Da sempre mi hanno insegnato che in politica in numeri si contano e a volte si pesano. E 98 a 13 è il voto finale sulla relazione del segretario Matteo Renzi nella direzione nazionale di ieri.
Ricordo che qualche vestale della vecchia sinistra interna del partito democratico, in occasione del rinvio della direzione per rispettare il lutto di 7 famiglie italiane per l’incidente mortale avvenuto in Spagna, aveva ventilato l’ipotesi di un rinvio “tecnico” per evitare al segretario Renzi di andare in minoranza in direzione.
Novantotto a tredici. Nessuno astenuto. Questo il risultato finale. Ma i voti in politica pesano. E tra quei residuali 13 voti di una minoranza interna sempre più minoranza nel partito ma ancor di più nel Paese non vanno sottovalutati o irrisi. D’Alema, Bersani, Cuperlo, Speranza e compagni danno voce a un pezzo di sinistra che, seppure incapace di dare senso compiuto alle parole di cui riempiono le loro bordate contro Renzi, come ad esempio “lavoro”, “welfare”, “sinistra”, rappresentano una visione diffusa in una certa parte del partito che non si rassegna all’idea di essere stati spodestati da un “usurpatore”. Loro, che sembrano emuli di Riccardo Cuor di Leone cacciato dal regno da un Giovanni Senza Terra qualsiasi.
E questa visione traspare, in tutto il suo livore, dal discorso piatto, come nel suo stile, e apparentemente asettico, fatto in direzione da Cuperlo: una volta giovane promessa del dalemismo rampante, poi candidato sconfitto alternativo a Renzi, oggi mero portavoce di una parte sempre più minoritaria del PD.
Che assomiglia tanto a quei commentatori, tifosi da radio, in partite che ormai non giocano più. E nella frase del discorso di Cuperlo rivolta a Renzi: “Ti manca la statura del leader ma coltivi l’arroganza del capo” vi è la sintesi della sconfitta di Cuperlo alle primarie, di Bersani alle ultime politiche, della gioiosa macchina da guerra di Occhetto nel 1994 e della sinistra tutta nel ventennio Berlusconiano che, non a caso, nonostante i governi Amato Prodi e D’Alema, è passato alla storia come l’era di Berlusconi.
Arrogarsi il diritto di giudicare quale arrogante, senza fondarne politicamente il motivo, il segretario nazionale legittimamente eletto da oltre 2 milioni di italiani è sintesi di sconfitta in se stessa. Giudicare Renzi quale arrogante per il solo fatto che sceglie, decide e prova a far uscire dalla melassa stagnante e maleodorante in cui è bloccata l’Italia senza consultare la minoranza interna, salvo nelle giuste sedi politiche e istituzionali, senza passare da caminetti, uffici di segreteria, direzioni politiche, rappresenta la sintesi della sconfitta non solo politica ma anche semantica di questa vecchia sinistra.
Una vecchia sinistra che è frutto di quell’apparato burocratico formalismo, ampolloso quanto ipocrita, a cui del resto Bersani, D’Alema, Cuperlo e Speranza sono irrimediabilmente legati per storia e concezione della politica. Sono infatti tutti nati e cresciuti come funzionari di partito.
Nulla di male se non per il fatto che questa “deformazione professionale” comporta per loro un peso e un condizionamento che purtroppo li pone fuori dalla realtà. La realtà di un Paese che non è fatta solo dai militanti delle sezioni, dai volontari nelle feste dell’Unità o dagli amministratori delle cooperative, ma da milioni di cittadini, non condizionati da ideologie o visioni preconcette, e che oggi ha serie difficoltà a riconoscersi in un partito politico o piuttosto in un movimento.
Una larghissima ampia parte del Paese che vive, decide e sceglie: la cosiddetta “maggioranza silenziosa” che non si sente rappresentata da nessuno e che al massimo si riconosce in un leader che sia, però, capace di dar loro risposte concrete e non vuoti slogan. Un leader che sia capace di decidere e non imprecare contro qualcuno o qualcosa. Di scegliere assumendosi il rischio di deludere qualcuno: capace di governare tutti gli italiani.
La vera sfida di Renzi è dare voce, forza e rappresentanza a tutto il Paese e non solo ai nostri militanti per non lasciare nessuno in balia di facili e sempre più forti movimenti populisti. Questa sfida necessita di coraggio.
I leader residuali della minoranza Dem hanno ben compreso che Renzi, con il suo linguaggio schietto, diretto e franco, parla a tutti. E invera, con le riforme fatte, la sua idea di “lavoro” “welfare” “sinistra”. Per questo lo attaccano. Per questo non sopportano che l’“usurpatore” non solo sia riuscito a conquistare il regno ma addirittura ne ha conquistato i cuori.
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