di Aldo Penna
In quattro mesi il nuovo governo polacco, emanazione del partito Democrazia e Giustizia vincitore alle elezioni del 25 ottobre scorso, ha bloccato la Corte costituzionale ricusando quattro giudici su 15, ha messo sotto controllo l’informazione e si appresta a demolire i diritti faticosamente conquistati nei ventisei anni che corrono dalla caduta del Muro e del regime comunista.
Ma l’attuale governo polacco è in buona e folta compagnia. Non è mai passato di moda utilizzare le libere elezioni per impadronirsi del potere e poi iniziare lo smantellamento sistematico degli istituti che contrassegnano un paese come democratico o solo come il suo pallido fantasma.
I Paesi faticosamente acquisiti alla pratica democratica sono i più permeabili e in alcuni di essi anche dopo la caduta della dittatura non ha mai messo radici. In Kazakistan, Nazarbayev governa da 25 anni, in Bielorussia lo stesso. Ma altri paesi conoscono lo svuotamento delle garanzie che contrassegnano e differenziano i paesi democratici. Erdogan in Turchia, Orban in Ungheria, Putin in Russia sono esempi di un potere che cerca con tutti i mezzi di svuotare e vanificare il discrimine tra la democrazia e la sua negazione: la reversibilità del potere. La possibilità per l’opposizione di farsi governo e per il governo di essere battuto e ritornare all’opposizione.
Le Costituzioni, il deposito delle norme che regolano la vita di un paese spesso pongono limiti ai mandati o ai poteri di chi governa.
I Presidenti con vocazione autoritaria non si scoraggiano di fronte a questi ostacoli e invocando una maggiore efficacia del governo modificano le Carte fondamentali, ne aboliscono i limiti spianando la strada a una perpetuazione dei mandati che somiglia più a un’investitura a vita che alla rappresentanza pro-tempore di un paese.
In Kazakistan, in Russia, in Venezuela il limite è stato abolito, la Turchia si avvia a divenire una repubblica presidenziale che consentirà al suo leader una nuova lunga stagione al potere dopo il quindicennio appena trascorso. L’Ungheria sta gradualmente criminalizzando l’opposizione, fino a rendergli impossibile ribaltare alle prossime elezioni i risultati.
L’intervento sul sistema dell’informazione è il prologo necessario a ogni manipolazione delle istituzioni. Dove prima ci si preoccupava del controllo sull’esercito la nuova via all’autoritarismo nelle democrazie moderne prevede innanzi tutto un ossessivo controllo dei Media. Le Tv di stato asservite e prone, le tv commerciali ricattate sulla revocabilità della licenza, i giornalisti perseguiti per oltraggio alle istituzioni, vilipendio della bandiera o minacciati di querele milionarie.
Turchia e Ungheria hanno costretto interi pezzi del sistema mediatico a cambiare radicalmente giudizio sul governo sotto la minaccia del licenziamento e della chiusura, in Russia la maggior causa di morte per questa categoria sembra essere l’omicidio.
La transizione incruenta verso gli autoritarismi avviene per gradi più o meno ravvicinati e questo disorienta le opinioni pubbliche democratiche, pronte a levarsi in forti proteste contro i golpe militari ma incapaci di riconoscere la pericolosità delle pratiche di concentrazione del potere, esautorazione dei controlli, bavaglio alle critiche spesso scambiati per necessari o caratteristici della storia di quei paesi.
E mentre assistono distratti a quello che avviene a poche centinaia di chilometri da loro i popoli che vivono da lunghi anni nelle democrazie, hanno smarrito la memoria delle tragedie del secolo scorso e sembrano non accorgersi che i cattivi esempi trovano molti emuli pronti a ripercorrerne le orme.
Le leggi elettorali ritagliate su misura, le concentrazioni editoriali non impedite ma favorite, la predisposizione a spianare la strada agli interessi delle grandi corporazioni, sono i tratti di una degenerazione riconoscibile in democrazie apparentemente immuni e invece già contaminate dal virus della vocazione autoritaria.
Come è possibile che le tragedie si consumino due e più volte senza trasformarsi in farsa, senza che la gente ricordi che per ogni cessione della sua libertà non ne riceverà in cambio il doppio ma aggiungerà solo un anello alle sue catene?
Alla fine di questo ciclo di paure chiamate criminalità interna o terrorismo internazionale, o emergenza economica o crisi energetica, migrazioni epocali e invasioni di profughi, guerra alle porte di casa o sciagure naturali ci sarà sempre la richiesta di nuovi e più forti poteri, nuove efficienze da raggiungere, altre sicurezze da garantire e popoli smarriti e preoccupati, felici di consegnarsi al Protettore di turno.
Le democrazie moderne, anche quelle consolidate e apparentemente immuni, sono esposte ai virus di un tempo che si chiamano con altri nomi ma sono pronti alle stesse identiche devastazioni.