di Pasquale Hamel
Come ogni luogo della Sicilia, anche nella nostra città marinara il tempo di Pasqua è accompagnato dalla celebrazioni di riti e da manifestazioni liturgiche. Un tempo di attesa e di riflessione, che la ritualità incupisce con il richiamo alle pene, alle sofferenze e alla morte.
Un tempo non amato dal nostro Pirandello che, nella Pasqua di Gea, elevava, in contrapposizione, un canto alla vita e alla natura che si rinnova proprio in quei mesi.
Il nostro, nel suo giovanile furore non aveva però tenuto conto che stava sfondando una porta aperta, visto che, almeno per chi ci crede, la Resurrezione, non è altro che un inno alla vita, un trionfo sulla morte. Ma non siamo qui per discutere di queste contraddizioni quanto, piuttosto, della singolarità che, per anni, ha contraddistinto questa grande processione del giovedì Santo come la ricordavo.
Quel giorno, più che ogni altro, il popolo marinisi veniva coinvolto nella sua totalità ed i riti iniziavano nel primo pomeriggio di giovedì con la cerimonia dell’incontro. La comunità, infatti, si divideva al seguito delle vare del Redentore e della Madonna, masculi cu masculi fimmini cu fimmini.
La Statua del Redentore partiva, infatti dalla Piazza della Chiesa Vecchia nel primo pomeriggio e, lungo il budello della via La Porta, raggiungeva la discesa Granet per raggiungere lo slargo antistante palazzo Agrò. Il pesante fercolo, portato a braccia da giovani e meno giovani che facevano a gara per alternarsi, era seguito da una folla immensa, fatta soprattutto da uomini, che si muovevano ondeggiando al ritmo lento di nenie funebri.
La statua della Madonna, sempre portata a braccia, proveniva invece dalla chiesetta della Catena, quella situata all’ingresso del Paese, e scendeva giù per la ripida via Spinola, con lo stesso ritmo lento e cadenzato. Ma in questo caso il popolo dei fedeli era fatto soprattutto da donne che, in segno di rispetto, portavano un leggero velo che copriva il loro capo.
Più o meno all’altezza della piazza Cappadona, i due fercoli si incontravano, e i due cortei pellegrini si riunivano per formarne un unico che, preceduto dal clero locale, scorreva per la via principale del Paese e si indirizzava verso la Chiesa Madre dove si concludeva quella che possiamo definire la prima parte dell’evento.
Bisognava infatti aspettare il buio della sera perché, dalla Matrice, venisse fuori la splendida vara a vetri che conteneva il corpo di Cristo al cui seguito stava quella della Madonna. Il nuovo corteo percorreva, al ritmo di marce funebri, le vie principali della cittadina rischiarate a giorno dalle luminarie montate sui balconi addobbati a festa con coperte o tappeti.
Cerimonie spettacolari e, in questo caso dotate di un pizzico di originalità, quella dell’incontro non so se esiste in altri paesi, ma ancor più originale, nella terra di Pirandello. Il fatto che, ad esempio, la vara del Redentore ed alcuni dei paramenti con cui venivano addobbate le statue a Pasqua, fossero proprietà di talune famiglie che le custodivano gelosamente.
Era il caso, ad esempio, della vara del Redentore, di proprietà della famiglia Marullo; l’aveva infatti fatta realizzare quel sant’uomo di don Sarino Marullo a cui si doveva la costruzione della Chiesa Madre. Quella vara, concluse le processioni, rientrava infatti nell’androne di palazzo Marullo e lì restava per il resto dell’anno per la devozione personale dei proprietari.
Lo splendido manto della Madonna, di pesante velluto nero con rifiniture in oro, era di proprietà della famiglia Nuara, di quel Baiocco, originale e stimato personaggio a cui abbiamo dedicato un precedente profilo. Quel mantello, poggiato sulle spalle della statua della Madonna Addolorata, a fine cerimonie, veniva ripiegato per bene e restituito ai proprietari che lo conservavano amorevolmente in attesa dell’anno successivo.
Una situazione che, sicuramente, non piaceva al clero che, già doveva subire l’espropriazione di San Calogero, il santo più popolare del paese, gelosamente custodito in un luogo non certo molto spirituale, come in effetti era la locale casa del portuale.
La vendita di palazzo Marullo, ha consentito alla Chiesa di recuperare la statua del Redentore. Non so se il manto prezioso della Madonna sia ancora nella disponibilità esclusiva dei proprietari e se gli stessi se ne siano disfatti, sicuramente non è stato consegnato il San Calogero difeso ad oltranza dalla potente corporazione dei lavoratori del porto.
Estratto da Pasqua di Gea (parte V), di Luigi Pirandello
Lascia il rosario e il velo
e il libro de la prece;
Lascia suonar la mesta
campana de la chiesa.
Guarda: è sí puro il cielo,
sí bella la distesa
de l’erbe nove al piano,
del fresco e folto grano,
che maturando viene.
Ov’hai la rosea vesta,
quella che tanto bene
al corpo ti s’attaglia?
Via, prendi questa invece,
e il cappellin di paglia
ornato di vermene.
Chi ti vedrà passare
dirà: «Che bimba bella!
che bimba bella! pare
dei fiori la sorella…»
Lascia il rosario e il velo
e il libro de la prece.
In copertina, processione per la Pasqua. Foto tratta dal sito del Comune di Porto Empedocle.