di Matteo Bavera
Quando li ho visti provare Proust a Varsavia, gli attori che ora qui alla Ruhrtriennale mettono in scena la “Recherce” sembravano occupati a fare tutt’altro. Il bellissimo Bartsoz Gelner danzava sopra un attrezzo ginnico che credo si chiami “Cavallo”, lo guidava Claude Bardouil e sembravano stessero facendo training tanto era il distacco e la mancanza di compiacimento.
Poi arrivava un altro bellone biondo vestito da donna su tacchi impossibili, ma nello spettacolo avrebbe fatto Morel, senza più ombra di abbigliamenti femminili. Kryzstof armeggiava con un casco da aviatore, lui stesso ne costruiva l’illuminazione interna, per poi infilarlo sulla testa di Maciej Stuhr, non meno grande del padre Jerzy.
Insomma capii veramente poco di quel che si stava costruendo, anche se mi dissero che avevo perso una prova assai produttiva, nel pomeriggio, per una riunione organizzativa in vista della riapertura del nuovissimo Teatro di Warlikowski,in costruzione in qualche zona di Varsavia non lontana dagli studi cinematografici dove si provava.
I meravigliosi capannoni industriali del carbone della Ruhrtriennale sono sparsi in un’imprecisata zona attorno al fiume omonimo. Qui le città sono riconoscibili solo dalla targa, e la vecchia domanda che si faceva Franco Quadri nel suo meraviglioso scritto “Il teatro dei meteci”, “Che cosa ci faccio a Bochum?”, mi si ripropone con varianti dialettali per questa sconosciuta cittadina chiamata Gladbeck. Qui in mezzo al verde ti accoglie un’ imponente costruzione, in mattoni rossi, forse ottocentesca e assai elegante per essere la “Maschinenhalle Zwekel” magnificamente restaurata, con pochi tocchi che ne conservano e forse amplificano il suo fascino. Dentro, una scala quasi liberty porta alla seconda parte della gradinata, il pavimento è rimasto in maiolica, la scena è montata in lunghezza nell’immensa sala, avvicinando il pubblico il più possibile.
Di fronte ai mezzi sterminati che la Germania investe nella cultura non si può che pensare di essere sottosviluppati. Basti guardare la graticcia zeppa di fari mobili ultramoderni, dove prendono il loro spazio 3 proiettori Panasonic che mi dicono di 20.000 ansi lumen ciascuno.
Il sottosviluppo del nostro paese si fa certezza se ci si informa sul budget (18.000.000 di €) moltiplicati per 3 anni. Gerard Mortier, il grande sovrintendente dell’Operà di Paris ha inventato una ventina di anni fa questa macchina meravigliosa, a mio avviso più importante di Avignone, giustamente gli dedicano un concerto. Prima del Proust avevamo visto “Accattone” da Pasolini per la regia dell’attuale e nuovo direttore della Ruhrtriennale, Johan Simons.
Altra città altro capannone. Qui, dentro un mastodontico ricovero, suppongo per il carbone, di 300 metri di lunghezza e 50 di larghezza tutto in ferro, Simmons azzecca soprattutto la parte visiva e musicale del nostro Accattone. Gli attori si snodano in lunghe camminate appresso a un lungo binario ferroviario, accendono fuochi lanciano grida “Accattò…”
Il capannone è aperto sul fondo verso una campagna che certamente ricorda la Roma del film. Accanto al binario un’orchestra al completo alterna all’azione le musiche della “Passione di Gesù” di Bach, interagendo drammaturgicamente con l’azione visto che il testo ci viene rimandato nei sottotitoli. Provano a sovrapporre le due passioni che si incontrano come i binari ferroviari, lì accanto.
Ecco lo spettacolo vive soprattutto di questa nostalgia tutta italiana per il mondo che Pasolini amava e abbiamo tutti quanti perso. L’attore che gioca il ruolo di Accattone si cimenta ad imitarne i movimenti, ma nulla può raggiungere la sensualità delle camminate di Franco Citti. Alla fine dal fondo Simmons rinuncia a mettere in moto la motocicletta che Accattone porterà a mano lungo i 300 metri del binario per morirvi sotto quasi al ralentì. Tanto di cappello per un festival e un regista che si avventurano, e a volte si perdono, nell’imprendibile universo del “nostro” grande Pasolini.
In ogni caso io aspetto Warlikowski. Vengo ammesso alle prove. Lo spettacolo c’è tutto, scene costumi luci… Gli attori arrivano, per primo il giovane Marcel di spalle per i primi 20 minuti del suo monologo introduttivo. Prima su una vecchia sedia, poi al bar hopperiano che la sempre sorprendente scenografa, Malgorzata Szczesniak, ha allestito. Lei è veramente gentile, porta da mangiare a Krzysstof e sorprendentemente pure a me, che privilegio! Marcel si gira, gli cola sangue dal naso. Arriva, dentro un grande cappotto militare, un attore storico del cinema (Coltelli nell’acqua di Polanski) e del teatro polacco Zygmunt Malanowicz, che fa Dreyfus. Caccia fogli da varie tasche e legge i verbali delle sentenze che lo hanno umiliato.
È il primo innesto drammaturgico. Warlikowski sa che Proust era dalla parte di Alfred, Dreyfuss accusato nel famoso “affaire” di intelligenza col nemico, la Germania. Questo insert è determinante per capire il lavoro. Warlikowski mi aveva parlato di una lettura piuttosto antifrancese oltre un anno fa, ma qui è l’intera Europa ad essere messa in discussione in vari momenti dello spettacolo. I francesi arrivano dentro un aquario ferroviario vetrato, più volte entreranno e usciranno da questa elegante gabbia, dove a forza Marcel vorrà introdursi , alla fine accompagnato dentro con violenza superiore da Saint Loup, prima di sentirsi integrato e autorizzato ad imitarne i costumi.
Discorrono intellettualmente invitano i propri pari alle performance organizzate nei loro salotti. Ad un tratto una donna vestita da scimmia rifà il Kubrick di “2000: Odissea nello spazio”. Ma è solo madame Verdurin che spogliandosi introduce Charles Morel amato musicista suo protetto, accompagnato da un violoncellista che eseguirà una sua lunga suite, qui disegnata da Jan Duszynski. Dietro hanno già cominciato a funzionare i tre Panasoninc da 20.000, vi scorrono prima una seria di molto poco casti baci di tutti i sessi, girati dal vero qualche giorno prima a Parigi dal regista Dénis Guéguin, poi animazioni botaniche accelerate e qui la lunga sequenza di una foresta abitata da un solo uomo.
Lo spettacolo continua ad essere scandito dalle stazioni del viaggio proustiano: La notte dei Guermantes, Dalla parte di Swann (il superlativo Mariusz Bonaszewwki) in fondo fino al Tempo ritrovato. Rachele, prostituta, attrice ebrea, fidanzata di Saint-Loup che ignora il suo passato, viene portata a forza sulla scena tirata per i capelli dal sorprendete servitore, in maschera da negro inventato da Claude Bardouil. Allora l’incredibile Agata Buzek, così riservata e timida nella vita in abiti da maschio, sale sulle punte delle sue scarpette da ballerina e immobile sulle punte canta: “ the thig it Happened, ed è durato per un po’ di tempo fino alla caduta…”
Più tardi lei chiuderà lo spettacolo, ancora una volta trascinata, non più dal negro, ma da un bambolotto che forse ha decretato la sua fine, Ippolito? Davanti a lei Fedra chiusa nell’acquario, tutti sono oramai invecchiati e distaccati nel tempo ritrovato.
Il Barone Charlus (Jacek Poniedzialek, incredibile Krum nel 2005 al Garibaldi) assume le sembianze di un prepotente Karl Lagerfeld, altro schiaffo alla Germania? Sidonie Verdurin si corica addirittura per terra nel proscenio dove tutti convergono, l’ormai anziano Proust, qui di nuovo lo straordinario, Zygmunt Malanowicz, che non rinuncia ad interrogare Morel sulla morte di Albertine, dopo un casto bacio ,da vecchi, tra lui e l’ormai anziana Gilberte,
Ewa Dalkowska, già Principessa di Parma…
Prima e in mezzo al mio balzellante racconto c’è stato tutto del Proust che conosciamo… Ma il terzo atto è di nuovo un’ellissi drammaturgica. Un piccolo tavolo con un piatto di patate bollite, entra un aviatore con divisa francese indossa il casco che Warlikowski gli aveva preparato a Varsavia. Ha una torcia e ci illumina creando imbarazzo.
Scaglia la sua invettiva su questa Europa fallita per dilettantismo, prova a consolarlo Morel ma Charlus li attaca prima di dipanare al bar i nomi dei grandi morti della letteratura lui stesso e Proust per primi. Arriva a soccorrerli un testo registrato in tedesco da Paul Celan: “ Il latte nero dell’alba lo beviamo la sera, a mezzogiorno e di notte, costruiamo tombe dove ci si corica a proprio agio.
Dopo c’è un lungo tempo per gli applausi, questi sì europei, ma sono l’unico italiano.
Kryzstof ha ridisegnato la geografia d’Europa, lui polacco, ma parla italiano, russo, francese, inglese, lui ora anche palermitano, ha imposto ai tedeschi (qualche critico ha ammesso che il cervello gli si bloccava) 5 ore della propria dolce lingua, come se la storia facesse finalmente giustizia attraverso il Teatro e l’Arte. Troppi superlativi ? Andate a vederlo a Varsavia per l’apertura del Nowi Teatr in Aprile, o in questi giorni in Francia a Le Parvis scène nationale Tarbes Pyrénées.
Foto di scena: www.hueckel.com.pl