di Gabriele Bonafede
Si chiama Jan Jambon, in italiano suonerebbe come Giovanni Prosciutto, anche se non è “francofono”, ma fiammingo. È lo sciagurato ministro dell’interno del Belgio, vicepresidente del governo di Bruxelles e dichiaratamente schierato per lo scioglimento della sua stessa nazione.
Il suo partito, la New Flemish Alliance (N-VA), si batte per l’indipendenza della parte settentrionale del Belgio, ovvero per l’autodistruzione del Belgio. Antieuropeista, anti-euro, al Parlamento europeo di Strasburgo ha fatto parte del gruppo dei partiti “indipendentisti”. Fa parte di quella galassia di partiti che si posizionano nell’incoerente nuvola cangiante della destra antieuropeista.
Queste le parole di Mario Borghezio, esponente della Lega Nord, all’indomani delle ultime elezioni in Belgio che nel 2014 diedero la maggioranza relativa al partito indipendentista fiammingo con il 32% dei voti: “è un modello per noi. Il successo elettorale dei partiti secessionisti fiamminghi – il maggiore dei quali, moderato e liberale, è espressione della migliore società civile fiamminga – ha, per noi Padani, un significato ben preciso. L’Europa più moderna e liberale ci indica la via, prima o poi (meglio prima) da seguire per raggiungere l’obiettivo dell’autodeterminazione”.
Con una piroetta politica tipica dei partiti indipendentisti arrivati a un consistente sostegno elettorale, nel 2014 il partito di Jambon è entrato nel nuovo gruppo al Parlamento europeo “Conservatori e Riformisti” in bella compagnia: dai CDR di Fitto agli ultra nazionalisti dell’attuale premier polacco, a gruppi di estrema destra in altri Paesi segnatamente balcanici, passando per gli antieuropeisti dell’AfD tedesca fino al partito conservatore britannico di Cameron. Un gruppone, un grande calderone eterogeneo, che ha all’interno tutto e il contrario di tutto. Ma con un’idea comune: l’antieuropeismo di fondo, spesso spinto all’estremo, come nel caso fiammingo o in quello tedesco. Una gigantesca mina vagante, di varia consistenza, in continuo trasformismo e posizioni spesso incoerenti tra loro e con beghe interne non indifferenti.
Nessun partito francese ci si è affiliato, e nessun partito di grande entità e di grandi Paesi, esclusi polacchi e britannici. La composizione del gruppo è visibile facilmente qui https://it.wikipedia.org/wiki/Conservatori_e_Riformisti_Europei, ma come detto è in continue variazioni a seconda di dove tira il vento.
Insomma, la formazione politica di Jambon è partita da posizioni da “Lega Nord”, con annessi e connessi, compresa la tendenza a sconfessare politiche perseguite per molto tempo con stucchevoli voltafaccia, come ad esempio l’atteggiamento di Salvini che ha per anni insultato i meridionali e ora ne cerca i voti.
In qualche modo, l’operato di Jambon e del partito fiammingo è la prova di ciò che farebbe una Lega da noi in Italia, vista la vicinanza ideologica e programmatica, e di ciò che farebbe anche un partito che si muove a destra e a manca come un elefante in una stanza di cristalli, quale potrebbe essere, in Italia, il Movimento Cinque Stelle.
E i risultati di Jambon nel modo di condurre la sicurezza in Belgio non sono solo preoccupanti, ma semplicemente disastrosi, se non agghiaccianti.
Divenuto ministro nel 2014 nel suo “carniere” ci sono già evidenti manchevolezze per due stragi epocali: quella di Parigi nella vicina Francia e quella di Bruxelles. Da quando è ministro dell’interno i gruppi di jihadisti in Belgio hanno impunemente proliferato, organizzando interi arsenali e reti sovversive affiliate ai tagliagole dell’Isis come se nulla fosse. E organizzando, appunto, una serie di attentati contro pacifici cittadini nel cuore dell’Europa.
All’indomani della strage di Bruxelles, cosa fa? Riduce il livello di allerta nel Paese a poche ore dall’attentato più grave della storia del Belgio contemporaneo. Lasciando di stucco tutti i Paesi europei nella mancanza di un minimo di serietà e di capacità. La cosa non stupisce. Perché sembra, come è ovvio, che faccia di tutto per raggiungere i propri obiettivi, ovvero quelli di remare contro l’Europa e il suo stesso Paese.
Il ministro francese analogo lo ha già bacchettato, a ben donde, visto che i morti di Parigi sono stati a causa di un agghiacciante attentato preparato e organizzato proprio in Belgio.
Ma non basta, i rapporti del suo ministero con i media su argomenti molto delicati come il terrorismo sono stati semplicemente disastrosi. Si è passati dalla naïveté più avvilente, come l’annuncio della collaborazione con la giustizia di uno dei personaggi chiave della vicenda quale è Salah, al caos più totale, come l’avvenuto arresto dell’”artificiere” della strage di Bruxelles, arresto poi smentito.
Come è smentita, stando alle ultime notizie, anche l’eventuale collaborazione di Salah che adesso vorrebbe scappare in Francia, forse impaurito dalla possibilità di essere “eliminato” in un clima di caos totale che si registra nel sistema giudiziario, politico e di sicurezza in Belgio. Per lo meno in Francia affronterebbe un processo chiaro, in un Paese civile con maggiore sicurezza nelle carceri, e con un minimo di coerenza democratica nelle istituzioni che lo reggono.
Tutto ciò porta a una conclusione molto evidente. Quando un Paese europeo si affida a un partito che è ideologicamente contro lo stesso Paese e contro l’Europa non può che esserci, quanto meno, il caos. E dal caos vien fuori il peggio.
Il Belgio sta attraversando una specie di piccolo 8 settembre in salsa per patatine fritte, bollenti, e pericolose. E non solo per il Belgio ma per tutti noi europei, di qualsiasi colore politico.
La speranza è che il Belgio ritrovi la sua strada. Che è quella di un piccolo-grande Paese, centrale per l’Europa democratica e al centro dell’Europa democratica.
Debbo dire che ho amato quel Paese, peccato che il provincialismo di taluni l’abbiano ridotto così