di Gabriele Bonafede
Ci sono grandi differenze, è vero, nella concezione dei diritti civili che abbiamo noi occidentali rispetto a Paesi anche confinanti con l’UE. Non solo per quanto riguarda la libertà di stampa, uno dei punti deboli della Turchia e di altri Paesi fin troppo influenti nel mondo.
Ma nel caso della risposta all’immane crisi riguardante i rifugiati che fuggono dalla guerra in Siria l’accordo raggiunto in tempi straordinariamente rapidi per le lentezze epocali dell’Europa, segna un passaggio importante. Sia l’UE che la Turchia hanno trattato l’argomento con una dose di realpolitik mista a un minimo di valori di accoglienza e rispetto dei diritti umani.
E di questo c’è da rallegrarsi, perché è sempre più evidente che la crisi migratoria che attanaglia ambedue i Paesi non è “caduta dal cielo”, come alcuni vorrebbero far credere, ma è opera dell’uomo. E precisamente di chi non ha alcun rispetto dei diritti umani e non utilizza nemmeno la realpolitik, ma quella che si può definire come “war-politik” cioè la “politica” della guerra, la “politica” della forza, dei bombardamenti indiscriminati, delle armi.
Il gigantesco afflusso di migranti, straordinariamente aumentato a partire da Ottobre 2015, è infatti il risultato di chi vuole la guerra e massacra il proprio popolo e quello altrui, al fine non troppo nascosto (se non agli sprovveduti) di creare una gigantesca “bomba-immigrati” a seguito delle bombe reali sganciate sulle popolazioni civili. E quelle che praticano la war-politik sono soprattutto entità al di fuori dell’UE, se si eccettuano i vomitevoli trafficanti d’armi, molto presenti anche in Italia.
Con questo accordo l’arma di ricatto della migrazione per minare dall’interno e dall’esterno l’UE, doppia arma utilizzata senza ritegno anche dai partiti d’estrema destra in Italia e altrove, diventa molto più spuntata.
Il flusso di migranti viene finalmente “regolamentato” in qualche modo, con un grande impegno della Turchia, che per altro ha già accolto milioni di rifugiati dimostrando grandi capacità oltre a qualità morali, su questo punto, ben più alte di quelle di taluni Paesi europei sedicenti “civili”: Danimarca, Slovacchia, Slovenia, Polonia e Ungheria per citarne alcuni.
D’altronde, la Turchia ha una lunga storia d’accoglienza di rifugiati, sin dai tempi della rovina dell’Impero Ottomano. Non tutti sanno, ad esempio, che durante lo sfacelo finale dell’Impero Ottomano al contempo con la sciagurata prima guerra mondiale, i turchi accolsero centinaia di migliaia, se non milioni, di rifugiati.
E questo accadde anche prima dello scoppio di quella guerra, già con le prime due guerre balcaniche del 1912-1913, quando i musulmani che vivevano nella penisola balcanica dovettero scappare mentre l’Impero Ottomano abbandonava quelle zone al seguito di un esercito incapace di fermare gli eserciti di piccoli stati che riprendevano quei territori ad uno ad uno.
Al netto della tragedia armena, la Turchia di fatto ospitò un secolo fa milioni di rifugiati da tutte le zone periferiche durante l’estrema rovina ottomana del 1912-1918 e ancora fino al 1923, a seguito di una ritirata epocale da regioni che prima controllava, ivi compresa la Siria di allora, poi diventata protettorato francese.
Non stupisce che la Turchia sia stata, un secolo dopo, in grado di offrire un rifugio a centinaia di migliaia di emigrati siriani oggi spesso in condizioni di vita migliori di quelle che si sono viste ben addentro l’Europa, come nei vergognosi casi di Calais e Ventimiglia.
L’accordo, per quanto intermedio e non del tutto risolutivo, va dunque salutato come una notizia positiva e che apre un nuovo capitolo di solidarietà, non solo all’interno dell’Europa, ma anche nei rapporti con grandi Paesi vicini e in un contesto praticamente mondiale oltre che mediterraneo.
In copertina: Istanbul. Il corno d’oro con la torre Galata sullo sfondo. Foto di Giusi Andolina