Le cronache correnti sono troppo spesso occupate da notizie che riguardano, non sempre positivamente, l’Islam ed il mondo islamico in genere. Anche se per lo più ci si ferma ai soliti luoghi comuni e a qualche slogan usurato, la voglia di conoscere la storia e la cultura di questa civiltà “altra” è notevolmente cresciuta, tanto è vero che i banchi delle librerie sono affollati di testi che la riguardano.
Il libro di Pasquale Hamel “Averroè, un filosofo all’Indice” – edizioni Tipheret, in questi giorni in libreria – attraverso la vicenda personale di questo grande filosofo arabo e ci introduce in un tempo in cui, secondo la tesi di molti studiosi, si consuma il divorzio fra Islam e ragione.
Averroè, il cui merito maggiore è stato di avere riproposto con i suoi Commentari l’opera di Aristotele, costituisce infatti il punto più alto della speculazione filosofica nel mondo islamico. Che registra, però, anche il limite dello stesso Islam, cioè l’impossibilità di agganciare la storia: di essere declinato nella storia.
Dalla condanna di Averroè infatti ogni tentativo di autonomia della scienza rispetto alla fede nel mondo islamico verrà vista con sospetto e duramente repressa.
Il volume ricostruisce, con puntualità, il contesto storico. Cioè la Spagna del XII secolo, nel quale vive il filosofo e ne traccia una biografia critica cucendo assieme molti frammenti e considerato che, dopo la condanna per eresia, le opere di Averroè vennero pubblicamente bruciate.
Il libro è completato da uno sguardo al cosiddetto “averroismo latino”, una corrente di pensiero sviluppatasi in Francia nel XIII secolo e anch’essa giudicata eretica che ha avuto, fra i suoi maggiori esponenti, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia professori dell’università di Parigi.