di Viviana Di Lorenzo
Ogni lavoro ha una sua etica, che comprende un codice di valori che solo chi è disposto a lavorare bene, nel rispetto della dignità di ciò che fa, decide di condividere e seguire. Certamente non tutti i lavori sono pericolosi o richiedono particolare attenzione per le ripercussioni che l’operato di ciascuno può subire, ma senza dubbio la storica dicotomia tra il mondo del giornalismo e ciò che esso racconta e fa emergere nei confronti del pubblico, continua ad interessare il mondo dei giornalisti.
Spesso molti di loro corrono dei rischi per poter raccontare e rendere noto ciò che succede, basti pensare agli inviati nei Paesi in cui vi sono pericolosi conflitti, che rischiano la propria vita pur di seguire i principi base della professione. Ma sono numerosi anche quelli che corrono dei rischi differenti, che portano avanti delle lotte contro il potere e contro la corruzione di chi governa, disposti a tutto pur di far tacere la scomoda verità che li coinvolge.
Il lavoro del giornalista è quello di raccontare i fatti, così come sono, senza tralasciare nulla, cercando di capire la verità e l’attendibilità di ciò che si sta esaminando. Ma, a volte questo lavoro può essere complicato e può avere delle conseguenze quando la verità raccontata, può risultare pericolosa per la posizione sociale che ricoprono i protagonisti della notizia stessa.
È ciò di cui tratta il nuovo film di James Vanderbitt, “Truth – Il prezzo della verità”, nelle sale da giovedì 17 marzo. La trama si basa sulla vera storia di Dan Rather, interpretato da Robert Redford, giornalista americano della CBS, che nel 2005 a causa delle conseguenze della messa in onda di un servizio in cui veniva messa fortemente in dubbio l’onestà del presidente George W. Bush, si vide costretto a rassegnare le dimissioni.
Protagonista femminile della storia è Mary Mapes, produttrice televisiva, interpretata da Cate Blanchett, che tramite informatori segreti riesce a scoprire delle scomode verità sul presidente Bush.
Naturalmente ciò che viene diffuso comincia ad avere delle conseguenze su tutti coloro che si sono occupati di questa vicenda, e da qui prendono il via tutta una serie di azioni volte ad ottenere il silenzio dei giornalisti e comincia la riflessione del regista, incentrata sul difficile rapporto tra la politica ed il giornalismo.
Quanto il potere politico può intralciare il lavoro del giornalista, quanto può ostacolarlo? Ma soprattutto è giusto che venga taciuta la verità, solo perché scomoda per qualcuno? Sono domande che richiedono una lunga riflessione ed il film concede questa possibilità, senza risultare noioso o eccessivamente pesante per lo spettatore. Sono tanti i giornalisti che ricercano la verità, in virtù di quel codice etico di cui si è parlato prima, ma sono tanti anche quelli che per evitare scomode conseguenze, ricercano solo lo scoop, lo scandalo che se in un primo momento fa notizia, poi diventa privo di senso per chi desidera davvero informarsi sul mondo.
È una testimonianza che mette in luce la gravità di coloro che si lasciano comprare pur di non mettere in pericolo il proprio lavoro e la posizione sociale, senza provare interesse per la dignità che ciascun lavoratore possiede, se fa bene il proprio compito, nel rispetto di quei principi che sono alla base della società e del corretto modo di lavorare.