di Giusi Andolina
Veniamo al mondo con la tendenza a stare e a muoverci verso la relazione. Anzi è proprio l’entrare in contatto con l’altro che ci permette di esplorare, conoscere e crescere.
Tessendo relazioni, non facciamo altro che adattarci creativamente all’ambiente in cui di volta in volta abitiamo, cercando di trovare, nel contatto con l’altro, corrispondenza ai nostri bisogni fondamentali: il bisogno di essere accolti e accettati per quello che siamo, di essere stimati e considerati, di non essere giudicati e di sentirci liberi interiormente, il bisogno di essere amati incondizionatamente.
Il mancato appagamento di questi bisogni causa la paura di non valere agli occhi dell’altro, di non essere all’altezza, di essere giudicato, di essere emarginato, la paura di non essere amato.
Per questo, fin da bambini, spesso, per essere accolti dagli altri, cerchiamo di trovare una sorta di “accomodamento” alle aspettative, alle norme, ai modelli culturali esterni.
Per essere più rispondenti al contesto tendiamo a essere “troppo” a favore dell’ambiente e a volte ci “svendiamo” a impersonare chiunque sia necessario essere in quel momento, indossando una maschera e cambiandola in base alle attese, ai tornaconti e alle aspettative nostre e altrui.
Ma indossare più o meno consapevolmente una maschera impone una serie infinita di contraddizioni, come la menzogna e la dissimulazione. Le quali vanno a infettare ancora di più la ferita che cerchiamo di coprire con la maschera. Il senso di colpa e il senso di vergogna amplificano il sentirsi inadeguato, sbagliato o imperfetto.
Il malessere e il disagio si insinuano, così, nella nostra vita e potrebbero arrivare a cronicizzarsi.
Rimuovere la maschera per ritrovare la nostra autenticità diventa indispensabile per avviare un percorso di cambiamento verso il benessere.
Il contatto con la nostra parte autentica ci guida verso la scelta di esperienze che per noi sono possibili e accettabili e ci allontana da quelle che, al contrario, dobbiamo evitare perché portatrici di disagio e malessere.
Il guardarci dentro, a occhi aperti, cercando di dare un nome a come ci sentiamo, momento per momento, ci permette di compiere delle scelte autentiche. Ci permette di decidere di liberarci di desideri, credenze e illusioni che non ci appartengono. Soprattutto, ci permette di prenderci la responsabilità di non fingere, di non cercare di essere qualcosa che non siamo.
Già, perché l’autenticità non è una qualità che si ha o non si ha. È qualcosa che va costruita attraverso le scelte consapevoli che compiamo ogni giorno, come indica l’etimologia stessa della parola. Il termine autentico, infatti, deriva dalla parola greca “authentikós” che vuol dire agire da sé medesimo, colui che ha autorità su se stesso.
Scegliere di essere autentici significa innanzitutto, essere congruenti, ovvero essere pienamente in accordo con noi stessi, imparando ad agire ascoltando e esprimendo le nostre emozioni, i nostri bisogni, i nostri desideri, indipendentemente dalle opinioni e dal giudizio degli altri. L’autenticità richiede, anche e soprattutto, di accettarci incondizionatamente, coltivando il coraggio di essere imperfetti e vulnerabili.
Accettazione incondizionata non solo verso se stessi, ma anche verso gli altri perché abbiamo tutti dei punti di forza e di debolezza. Solo in questo modo possiamo avvicinarci alla comprensione empatica degli altri, cercando di entrare nella realtà dell’altro e di vederla come la nostra.
Autenticità, quindi, intesa come la scelta responsabile di essere leali e onesti, con se stessi e con gli altri, come la scelta soprattutto di lasciare che il nostro vero sé sia visibile.
Quando partiamo da noi stessi, dal nostro essere davvero quello che siamo, profondamente, possiamo attingere alla nostra verità, diventando più sicuri di noi stessi. E solo allora sarà possibile entrare autenticamente in contatto con l’altro, senza maschere.
Certo è un compito arduo essere autentici in una cultura che ci impone modelli irraggiungibili che ci mettono a confronto con il dover essere perfetti, adeguati e sempre all’altezza della situazione.
Ma essere autentici significa proprio questo, correre il rischio di scegliere di essere veri anziché apprezzati. Significa uscire dalla nostra zona di sicurezza esprimendo le nostre idee, esternando le nostre opinioni, condividendo le nostre creazioni, pur sapendo che saremmo criticati, attaccati o emarginati per questo.
Perché dietro la nostra maschera c’è una forza costruttiva che non aspetta altro che uscire fuori. E quando entriamo in contatto con essa, accettandola e riconoscendola, troviamo il coraggio di prendere la responsabilità della nostra vita, cominciando a cambiare il nostro mondo e, soprattutto, portando nel mondo la nostra unicità.
In copertina: “Donna allo specchio”, Cagnaccio di San Pietro (Natale Scarpa), 1927, Verona, Fondazione Cassa di Risparmio di Verona.
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