di Angelo Argento
Tra Bassolino, Bersani e D’Alema c’è un abisso e un filo che li unisce. L’analisi politica li accomuna e anche le loro ragioni sono esatte in particolare quelle riguardo al Partito Democratico e al suo ruolo nella società. Tony Blair diceva: “Prima di cambiare il tuo Paese cambia il tuo partito”. Blair aveva ragione e lo ha dimostrato con la sua azione politica che ha rivoluzionato il Labour prima e la Gran Bretagna dopo.
Renzi ha seguito quel consiglio e lo sta applicando. D’Alema, Bassolino e Bersani concordano nell’affermare che il partito che hanno contribuito a creare non è quello che hanno fondato e che pensavano di creare. Renzi lo ha trasformato. Vero.
Quel che bisogna chiedersi è: in cosa lo ha trasformato? Nel partito della Nazione? Quale Partito della Nazione? Quello banalmente inteso nel suo senso dispregiativo e riduttivo di partito allargato a Cuffaro e Verdini? Oppure nel suo senso alto, serio e profondo di cui un altro fondatore del PD, Reichlin (ispirandosi a Gramsci) provò a declinarne le caratteristiche: Centrale nel Paese ma non di centro, nazionale non nazionalista, radicato nei valori profondi della sinistra ma non di sinistra soltanto, che fa dell’uguaglianza e della libertà due principi costituzionali da inverare nell’azione politica e non solo da declamare. Che trasforma le difficoltà in opportunità per tutti, non facendosi interprete solo delle istanze sociali di una sola classe sociale, seppure la più debole, ma interpretando gli interessi di tutte le classi e superando i conflitti per trasformarli in benessere diffuso, equo e solidale.
Questo è il Partito della Nazione, il Partito Democratico del segretario e premier Matteo Renzi. Questa è in sintesi la trasformazione in fatti del discorso fondativo del PD al Lingotto del suo primo segretario Walter Veltroni, a suo tempo. Questa è l’evoluzione naturale dell’Ulivo. Hanno ragione, quindi, Bassolino, Bersani e D’Alema, seppure con toni e proposte concrete profondamente diverse, nel sostenere che il PD di Renzi non è quello che loro volevano o conoscevano.
Il tema, per un partito che si proietta verso la seconda metà del XXI secolo – in un contesto internazionale dove la “sinistra” riformista e democratica vede essere in grave pericolo per l’avanzare di una “Destra” sempre più populista, razzista e conservatrice che fa della paura di una società in grande trasformazione la radice della sua forza – è come interpretare e sconfiggere questa paura. Quali risposte da dare a chi chiede sicurezza, stabilità, equità, crescita, lavoro e giustizia.
Il Partito Democratico del segretario e premier Matteo Renzi ha provato in questi venti mesi di governo a dare risposte serie e concrete attuando riforme profonde alo Stato. Non a caso tutti guardano al referendum costituzionale come il vero “giorno del giudizio” e lo stesso Matteo Renzi lega la sua vita politica all’esito di quel referendum.
Matteo Renzi è stato a Parigi con Hollande, Manuel Valls e gli altri leader europei del Pse per dare una nuova linfa al Socialismo europeo. Magari espellendo il premier slovacco Fico per il suo atteggiamento di chiusura verso i rifugiati e accogliendo invece Tsiprase il suo partito nel Pse, su proposta di Renzi, per le coraggiose politiche di rilancio dell’economia greca e per l’accoglienza che la Grecia da sola ha dato a migliaia di rifugiati. Ecco qui la differenza vera tra Renzi e le motivazioni di fondo che lo dividono da vecchi e superati leader della sinistra.
Nel frattempo, Bersani è in uno sperduto comune dell’Umbria a parlare di partito alla minoranza del partito. Bassolino è a Napoli in un teatro a parlare ai suoi sostenitori dopo la sconfitta alle primarie. E D’Alema chissà da qualche parte nel mondo è, solo, magari di fronte ad uno specchio. A compiacersi dell’ennesima invettiva contro l’ennesimo leader che non lo degna nemmeno di un SMS per quanto il suo cellulare abbia campo e internet funzioni perfettamente. Tutti e tre, comunque, sono nell’abisso di polemiche sterili, localistiche e autoreferenziali su una leadership che semplicemente non hanno più nel partito e nel Paese.
Bassolino, Bersani e D’Alema vogliono un partito fatto di ex-comunisti, ex- socialisti, ex-laici, ex- democristiani. Renzi ha costruito il partito dei democratici italiani.