di Gabriele Bonafede
Vedere “Minetti” di Thomas Bernhard a Palermo, oggi, ha un gusto particolare. Almeno duplice, se non di più, soprattutto se realizzato da Roberto Andò. Innanzitutto per l’andante di fondo della pièce sul tema dell’abbandono della propria città per evitare d’essere profeta, o artista, incompreso.
Ma soprattutto per le implicazioni storiche, ultimamente non molto sondate, riguardanti le presumibili intenzioni dell’autore, Thomas Bernhard, nei riguardi dell’attore per il quale fu scritto nel 1977, appunto il grande Minetti. E nei riguardi del significato che la carriera di questo attore ha rappresentato nel senso di colpa tedesco, riguardo al nazismo, forte ancora fino alla passata generazione di tedeschi e austriaci.
Attenzione, il Minetti teatrale racconta il Minetti-attore e il Minetti-uomo in maniera, per così dire, “specchiata”. Tacciato d’essere stato colluso con il nazismo, Bernhard Minetti, l’uomo, non si ritirò mai dalle scene, anzi. Ebbe massima gloria proprio durante il nazismo in Germania, in un periodo in cui se non ti uniformavi a idee, modi e “messaggi” del nazismo erano guai seri.
Minetti-attore sicuramente si adeguò, altrimenti non avrebbe potuto lavorare e avere gloria teatrale come fece e come ebbe. Ma interpretò quasi esclusivamente testi classici, soprattutto nel periodo nazista. Invece, nella pièce dedicata a lui dal Bernhard in cognome, l’autore della pièce, il Minetti-personaggio si ritira dalle scene perché rifiuta “il classicismo” nel quale la gente si nasconde e si trova “confortata”.
Il Minetti personaggio, quale attore, sa che deve “terrorizzare” il pubblico per essere soddisfatto del proprio lavoro e della propria vita di attore. L’uomo Minetti si uniformò dunque al “classicismo” ma, probabilmente, lo avrebbe voluto rifiutare. Non a caso, la prima rappresentazione della pièce la interpretò lui stesso, alla fine degli anni ’70, forse recitando ciò che avrebbe voluto o potuto essere in vita. E in morte. In ogni caso, recitandola, accettò la pièce.
Questo piano di lettura sembra essere stato dimenticato. Invece è, a mio modo di vedere, il piano di lettura principale nel “Minetti” in prima ieri sera al Teatro Biondo di Palermo. Il fatto che lo proponga Roberto Andò in Italia, e oggi, aggiunge ulteriori spezie a questo elemento comunicativo: proponendo una rivelazione che vale sempre, anche se fosse, come spesso accade negli artisti, solo sul piano intuitivo del regista.
Intendiamoci, anche qui siamo sul piano delle intuizioni che potrebbero essere, nello specifico, senza alcun costrutto ed esclusivamente soggettive.
Ma la questione sul “nascosto” significato nella interpretazione del testo “Minetti” e le sue implicazioni storiche, motivazionali e personali, rimane. E, ça va sans dire: sapendo dell’amore artistico di Andò per Brecht, il mio modo di vedere questo spettacolo ha più di un punto di sostegno.
Il piano di lettura principale, oltre a quello citato, c’è ed è evidente. In molti hanno detto e scritto, giustamente, che il “Minetti” di Thomas Bernhard è forse la pièce più significativa sul mestiere dell’attore. E sul mestiere dell’attore in un ambiente impreparato, oltre che “uniformato” al “pensiero unico”. Ma una pièce, come un romanzo o un film, è veramente grande se ha più piani di lettura. Sta a noi scoprirli.
Andò aiuta a farlo. Perché il corso e ricorso storico è affrontato nel migliore dei modi: non solo nel “modo” del personaggio principale, ma soprattutto attraverso i fantasmi-maschere, le anime fuori dalla comprensione, che passano nella penombra del pensiero, lentamente ma inesorabilmente a segnare il passo del tempo.
In questo modo, l’idea che il “Minetti” sia anche una riflessione sul mestiere dell’attore in tempi di dittatura e oppressione dell’arte prende molto corpo. E Roberto Andò è in ottima sintonia con un’equipe di artisti di altissimo livello. inclusi, a pieno titolo attoriale, i creatori di luci e scenografia (Gianni Carluccio) e suoni (Hubert Westkemper). E a partire dal Minetti scelto: Roberto Herlitzka.
Non solo adeguato sin dalla forma fisica e l’aplomb perfettamente calzante con testo e personaggio, Herlitzka fa anche salire in cattedra i diversi piani di lettura del testo. Facendoci scoprire che non ci sono solo quelli sopra enunciati, ma anche altri. In qualche modo, Herlitzka, riesce a esprimere e concentrare il volo dell’anima-personaggio. Come se gesti, movimenti, parole possano diffondersi in un invisibile soffio che promana dal corpo appartenente al personaggio-Minetti, e infine esalassero lentamente sotto la neve che ricopre l’inevitabile.
Andò, Herlitzka e la loro compagnia, approdano così, felicemente, a esprimere la dualità del Minetti-attore, di successo, e del Minetti-uomo, del fallimento. Cioè del fallimento di ciò che è storicamente esistito quale esempio di uno stampo, di un modo di porsi rispetto agli eventi. E che è fallimento nel non avere evitato, o combattuto, l’abisso del nazismo, o almeno cercato una più pacifica e gloriosa morte a mo’ di interprete del King Lear shakespeariano.
Giusto per ricordarci e non parlarci addosso, King Lear è l’antieroe che porta il suo popolo, e tutti, alla rovina. Credo che questo basti anche per chi non conosca quasi nulla di storia del XX secolo.
E torniamo all’oggi. L’abisso di non volute dittature è, nonostante il continuo porsi con la testa sotto la sabbia, dietro l’angolo. A volte, è anche conclamato. Una “censura artistica”, se così possiamo chiamarla, è stata sempre presente, soprattutto in Italia, e soprattutto nella periferia, si chiami essa con un ostico nome da cittadina provinciale tedesca, o si chiami essa Palermo.
Ma oggi, questo “modo di porsi” di media e mondo dello spettacolo ha raggiunto, ahimè, livelli sostanziosi. La sottigliezza di Herlitzka e Andò sta nel ricordarcelo con eleganza.
Al fianco di Roberto Herlitzka recitano Pierluigi Corallo, Verdiana Costanzo, Matteo Francomano, Roberta Sferzi e Vincenzo Pasquariello. Scene e luci di Gianni Carlucci. Costumi di Gianni Carlucci e Daniela Cernigliaro. Suono Hubert Westkemper.
In copertina, Roberto Herlitzka e Roberto Andò. Foto di Lia Pasqualino.